Cyber security: il sottosegretario che manca a Renzi

Le polemiche su Carrai a Palazzo Chigi hanno nascosto il vero problema. Un superconsulente può fare poco. Il coordinamento richiede qualcuno con una responsabilità politica forte

Pubblicato il 29 Gen 2016

Gildo Campesato

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Il “rimpastino” di governo annunciato ieri da Renzi può piacere o non piacere per l’affollamento di incarichi ministeriali e subministeriali che sembra ineluttabile in Italia, chiunque governi. È l’effetto della frammentazione partitica di una democrazia parlamentare che non ha trovato la quadra di una governabilità più semplificata, come accade nella maggior parte dei Paesi occidentali. Accontentare tutti richiede molte poltrone da distribuire. È valso per la prima repubblica, vale anche per la seconda.

Eppure Renzi avrebbe potuto aggiungere una ulteriore poltrona al suo “catalogo”: quella del sottosegretario alla presidenza del Consiglio per la cyber security. Un’occasione mancata.

Nei giornali e su Internet è stato sollevato un gran polverone sull’ipotesi di nominare alla testa di una nuova agenzia per la sicurezza informatica Marco Carrai, amico del presidente del Consiglio e – fra le tante altre cose – imprenditore nella cyber security con la sua Cys4. Un “gran cicaleccio” lo chiama a ragione Mario Dal Co nella rubrica da lui curata Smarties che uscirà, sostenendo una tesi simile alla nostra nel prossimo numero cartaceo di CorCom.

Dalla guida di una nuova agenzia (che tra l’altro ci vorrebbe un bel po’ di tempo per mettere in piedi) l’ipotetico ruolo di Carrai è stato poi ridimensionato a quello di super consulente personale del presidente del Consiglio. Come ce ne sono altri in altri settori. Anche imprenditori di quel settore. L’esperienza in una materia, la si fa anche così. E a volte è quella più rappresentativa. Ad esempio, tanto per fare un nome, c’è Paolo Barberis che come “civil servant” segue a Palazzo Chigi l’attuazione dell’agenda digitale, ma nella vita privata fa l’imprenditore della web economy. E nessuno ha gridato allo scandalo o al conflitto di interessi.

Del resto, è ormai invalsa la moda che le consulenze esterne per il governo o la pubblica amministrazione debbano essere gratuite. Quasi che sia chissà quale scandalo che il governo si avvalga, pagandolo, del lavoro di un professionista di fiducia dello stesso governo. Il problema ,semma,i è la sostanziale relativa efficacia dei consiglieri senza struttura e senza responsabilità.

Governare richiede anche rapporti fiduciari con le persone di cui ci si circonda. Non è la vicinanza che in tali casi andrebbe denunciata, ma quello che le persone “di fiducia” fanno e come lo fanno. Per i risultati e i metodi di lavoro. Anche con durezza se è necessario. Ma a posteriori, non aprioristicamente.

A noi pare “azzardata” l’ipotesi di nominare Carrai proprio per la sua vicinanza al presidente del Consiglio. Ma per ragioni politiche, essenzialmente. Però, è al presidente del Consiglio che spetta la responsabilità politica della scelta. Assumendosene, ovviamente, tutte le conseguenze del caso.

Tuttavia è proprio la figura del “superconsulente” ad essere ambigua ed inefficace per una tematica così fondamentale come è diventata la cyber security. Non entriamo nel merito se debba essere esclusiva materia dei servizi&Co come pure sostengono, ad esempio Giampiero Massolo, direttore del Dis (il Dipartimento delle informazioni per la sicurezza o il procuratore di Torino Armando Spataro che boccia “l’aziendalismo”. È chiaro che la voce in capitolo delle istituzioni statali preposte è fondamentale. Ma la guerra è una cosa troppo seria per lasciarla ai generali.

Le implicazioni sono molteplici. Riguardano la sicurezza delle grandi infrastrutture ma anche la difesa della nostra economia, la tutela delle privacy e la collaborazione tra pubblico e privato, le coerenze fra legislazione italiana e quella europea, grandi investimenti tecnologici pubblici e privati ma anche fortissima flessibilità per seguire le innovazioni di un settore dai cambiamenti velocissimi, la definizione di standard comuni e la formazione di professionalità adeguate, uno stretto coordinamento tra ministeri e fra centro e periferia della pubblica amministrazione. Sono solo alcuni dei punti più cruciali in ballo. Con un comun denominatore: richiedono tutti un approccio “olistico”.

È evidente che per tutto ciò non basta un consulente, neppure se è “super” ed è vicinissimo al presidente del Consiglio. Ci vuole, appunto, un sottosegretario alla cyber security ​ se non addirittura un ministro per l’economia digitalecon ruolo e peso politico ben definiti e chiari. Anche perché ci sono da spendere i 150 milioni che la legge di stabilità stanzia per la cyber security e c’è un Cert tutto da costruire.

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