Premio “Cuore Digitale”, Failla: “Tecnologia fa rima con inclusione”

Il direttore della Fondazione Ibm sull’hackaton mirato a creare nuove app utilizzabili dagli ipovedenti: “Hanno risposto in tanti e di ogni generazione, al di là delle previsioni”. Sul progetto Nerd: “Avanti con l’accesso delle donne alla conoscenza scientifica e informatica”

Pubblicato il 03 Ott 2016

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“Al di là delle app e delle soluzioni, a vincere il Premio cuore digitale è un approccio: quello che intende la tecnologia come uno strumento e una modalità per includere e trasferire competenze che siano accessibili a tutti”. Così Angelo Failla, direttore della fondazione Ibm Italia, che il 29 e il 30 settembre è stata tra i protagonisti della seconda edizione dell’“hackaton inclusivo” che si è svolto a Roma, organizzato dall’Associazione Cuore Digitale in collaborazione con l’Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti di Roma. Al centro della manifestazione start up, makers, sviluppatori, studenti e ricercatori, impegnati a realizzare un prototipo digitale che aiuti a migliorare la qualità della vita dei ciechi.

Failla, si è appena conclusa la seconda edizione del premio. Qual è il bilancio della manifestazione in termini di partecipazione e di risultati?

E’ stata un’ottima esperienza, molto partecipata, la conferma dell’attenzione che questi temi riescono ad attirare e su cui la Fondazione Ibm è presente e attiva da tempo. Vedremo nei prossimi giorni chi si aggiudicherà il premio, e quali saranno le soluzioni ideate e presentate durante l’hackaton che la giuria giudicherà più interessanti. In più mi fa piacere aver notato un’ottima risposta, anche al di là delle previsioni della vigilia, dalla partecipazione dei volontari provenienti da Ibm. Questa azienda ha una tradizione forte nel campo della solidarietà e del volontariato, e il valore aggiunto di poter contare, insieme al lavoro fondamentale di tutti i volontari, anche su qualcuno che avesse e mettesse a disposizione skill, competenze ed esperienza a un alto livello tecnologico ha dato un contributo decisivo per la riuscita della manifestazione.

Quali sono le indicazioni più importanti emerse dalla manifestazione?

Credo che uno dei messaggi emersi da questo hackaton sia il fatto di avere visto lavorare fianco a fianco, coinvolti direttamente nello stesso gruppo, di sviluppatori, tecnici, creativi e persone con disabilità. Aver avuto la collaborazione diretta nei team di persone ipovedenti a fornire indicazioni e stimoli è un valore aggiunto, perché ha ancorato la creatività degli sviluppatori ai bisogni reali, e non supposti, delle persone a cui erano dirette le soluzioni. C’è stata inoltre una sorta di mediazione diretta tra quello che un utente non esperto immagina di poter fare e quello che è possibile realizzare in un ambito temporale limitato: grazie anche alla piattaforma Ibm Bluemix, che consente in tempi molto rapidi di realizzare app immediatamente funzionanti.

Avete registrato un mix generazionale, oltre che di competenze?

Di questa manifestazione mi ha colpito il fatto che ci fossero molti universitari e giovani, insieme a persone ed esperti di età anagrafiche diverse. E’ un elemento di grande valore, perché dimostra che le tecnologie assemblano: da una parte attraggono chi è più giovane, e dall’altra, come nel nostro caso specifico, sono in grado di mixare questo elemento con l’esperienza e la capacità di fare già acquisita. I nostri volontari stessi erano giovani, e noi per primi siamo lieti di avere forze fresche e motivate che lavorano in azienda, e che sono felici di offrire e ricevere lo stimolo di impegnarsi in attività di volontariato. E’ un entusiasmo che registriamo non soltanto in situazioni come questa, ma sempre più spesso in attività molto meno pianificate, nelle scuole ad esempio, dove si organizzano attività di promozione delle discipline scientifiche in collaborazione con gli insegnati e a sostegno della disabilità. D’altra parte in Ibm esiste una community per il sostegno delle attività di volontariato e operativa in modo strutturato dal 2002, la “On demand community”, grazie alla quale le organizzazioni che richiedono i nostri volontari possono accedere anche a una serie di piccoli grant messi a disposizione da Ibm.

Tra le iniziative di fondazione Ibm c’è anche il progetto Nerd (“Non è roba per donne?”) nato nel 2013 per diffondere la passione per l’informatica tra le studentesse. Cosa è emerso dall’ultima edizione?

Dalla prima edizione alla più recente abbiamo notato una costante crescita del numero delle partecipanti. Tecnologie, coding, competenze informatiche nel mondo del lavoro vedono le ragazze sempre più interessate, grazie anche alla possibilità di confrontarsi con modelli professionali di successo sempre più riconosciuti nel mondo del lavoro. Questo interesse è tra l’altro condiviso sempre più dal mondo dell’università, interessata a promuovere le conoscenze scientifiche e informatiche ad ampio raggio, oltre che da altre organizzazioni e imprese. Oggi quest’area è più presidiata rispetto a prima: collaboriamo con atenei importanti, da Milano a Roma, fino a Sud, con Bari, e ci auguriamo che questo diventi un modello: ci farà piacere se anche altre imprese, al di là del nome che decideranno di dare all’iniziativa, facessero proprio quest’approccio. Sulla diffusione della cultura scientifica e tecnologica in Italia possiamo contare su punte di eccellenza, ma c’è da alzare il livello medio. E in ogni modo il mondo ci sta dimostrando che le donne non sono assolutamente seconde a nessuno in questo campo: la nostra stessa esperienza ci dimostra che ai massimi livelli di carriere tecnologiche ci sono sempre più donne. In più in Ibm esiste la community “women and technology”, grazie alla quale le colleghe che accedono ai livelli più alti della carriera professionale diventano punti di riferimento, e non solo per le donne.

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