Sacco: “La PA come Uber. L’Italia si gioca tutto sul Regtech”

La tecnologia deve essere strumento di disintermediazione della burocrazia, è la tesi del docente esperto di innovazione. Obiettivo: abbattere la complessità della compliance normativa

Pubblicato il 10 Ott 2016

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Avviata la realizzazione delle infrastrutture, l’Italia si gioca la sfida digitale soprattutto su come utilizzare queste infrastrutture. O, meglio, sull’uso della tecnologia per lo sviluppo di piattaforme e servizi capaci di “disintermediare” la burocrazia. È questa la tesi sostenuta da Francesco Sacco, docente dell’Università dell’Insubria e della SDA Bocconi. “È partita la realizzazione delle infrastrutture materiali e immateriali. Ma nessuno parla di cosa dovrà succedere dopo. La domanda che bisogna porsi è what’s next?”

Dunque, what’s next?

Per la risposta è necessario individuare quali tipologie di servizi sono necessari all’economia. Guardiamo alla classifica “Doing business” stilata dalla World Bank. Siamo al 45° posto dopo che nel 2016 abbiamo perso una posizione. Non perché non si sta investendo ma perché gli altri si muovono più rapidamente di noi, persino paesi che non sono mai stati grandi innovatori. Ma il nostro vero problema è che siamo soprattutto indietro nell’enforcement delle leggi e nella complessità delle norme. C’è una soluzione però, ed è il RegTech.

In cosa consiste il RegTech?

Il RegTech sta all’amministrazione come il Fintech alla finanza. Consiste nell’uso della tecnologia per rendere più facile la vita alle imprese che devono confrontarsi con la regolazione.

Può fare qualche esempio concreto?

Pensi ad esempio alla complessità delle leggi per la gestione dei dati. Se ci fosse un software che ad esempio mi permettesse di essere compliant con la normative sulla privacy o la gestione dati o ancora con la fiscalità, la vita non sarebbe enormemente più semplice? Ci sono molte soluzioni possibili ma è tempo che la PA si faccia carico dello sviluppo di questo tipo di piattaforme o che si dia spazio al mercato in modo da poter offrire a cittadini e imprese servizi utili, che semplifichino la vita. La PA si deve riorganizzare come una sorta di Uber con l’obiettivo di abbattere la complessità della compliance normativa. Le banche da questo punto di vista possono rappresentare un valido modello operativo perché sono fra le più “colpite” dagli adempimenti normativi e si sono organizzate con una serie di piattaforme che verificano il rispetto degli adempimenti liberando le risorse umane dal compito e anche aumentando i livelli di rispetto delle norme stesse poiché si abbatte l’errore umano.

Dunque le infrastrutture non bastano a fare un Paese digitale…

No, non bastano, ma sono indispensabili perché creano le basi di partenza. Inoltre i database della PA stanno molto evolvendo, basta pensare ad ANPR, catasto, INPS. Gli adempimenti quindi possono diventare molto più semplici. Ma bisogna fare di più e questa è un’occasione anche per lo sviluppo di nuova imprenditorialità.

In che senso?

Nel senso che è sullo sviluppo di queste soluzioni che l’Italia può recuperare terreno sul fronte della competitività digitale e dare un ruolo a nuove iniziative. Non saremo mai leader dei social network, ma sui servizi possiamo trovare un’opportunità per distinguerci e diventare un modello.

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