GENERAZIONE 4.0

Westworld e i limiti etici nell’uso degli androidi

Una serie televisiva prova a “umanizzare” i robot e a svelarne anche i limiti. Obiettivo: affrontare la questione dell’impatto sociale. La rubrica di Piero Laporta

Pubblicato il 16 Dic 2016

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Una serie televisiva della HBO, «Westworld – Dove tutto è concesso», è ispirata da un film del 1973, Westworld, su un mondo di robot. Westworld è una sorta di Gardaland hitech tutta in ambiente Far West, interamente animata da androidi: banditi, sceriffi, bottegai, soldati, prostitute, madri di famiglia bambini. I visitatori paganti possono fare quello che vogliono delle cose e degli androidi del parco “dove tutto è concesso”, appunto, compreso uccidere, stuprare, torturare, distruggere. L’imprevisto arriva a causa della tendenza del software a spingere gli androidi verso comportamento progressivamente più simile a quello umano.

Gli androidi sono indistinguibili dai visitatori: occhi, voce, movenze, tratti somatici sono analoghi a quelli umani. Quando il programma di aggiornamento degli androidi conferisce loro anche i ricordi, per renderli emotivamente plausibili, cominciano i guai: con la memoria si va formando l’autocoscienza e, con questa, essi cominciano a mettere in discussione tutto il sistema e, per quello che si è visto sinora, andando a loro volta verso il “tutto è concesso”. La questione posta dagli autori, cioè i limiti etici dell’impiego degli androidi, dovrà prima o poi essere affrontata e questa serie sarà citata dai giureconsulti che si cimenteranno. D’altronde, l’impiego della tecnologia unmanned in guerra sta scombussolando certezze scontate.

Quanti utilizzano i droni vantano un consistente risparmio di vite umane; coloro che li subiscono non sono dello stesso avviso, mentre il campo di battaglia d’un tempo, con le sue leggi umanitarie, è sempre più un luogo “dove tutto è concesso”, in nome della pace beninteso.

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