LA RIFORMA

Ad blocking, la Ue si “allea” con i media e punta sul “do ut des”

La riforma della normativa Ue sulla data protection tende la mano agli editori: non è illegale bloccare chi rifiuta le ads sui siti delle testate online. Gli editori “Senza pubblicità non si vive”. Ansip: “Bisogna curarsi dei costi editoriali”

Pubblicato il 12 Gen 2017

Patrizia Licata

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L’Europa strizza l’occhio ai gruppi dei media e tende loro una mano nella loro battaglia contro gli ad blockers cui sempre più utenti ricorrono per evitare che nei siti Internet delle testate online si aprano le finestre di pubblicità: le nuove regole sulla privacy online della Commissione europea indicano infatti che è perfettamente lecito per le aziende dei media bandire i clienti che usano questi programmi.

Alcune testate online, da Wired a Bild, già avevano deciso di bloccare l’accesso ai loro siti per gli utenti che usano i software che bloccano le ads ricorrendo a loro volta a dei veri….“ad blocker blockers”. Senza pubblicità non si vive, è la giustificazione dei gruppi dei media, ma finora questi si sono mossi in una sorta di “area grigia” dal punto di vista legale e alcuni attivisti della privacy hanno sostenuto che non è consentito, in base alla normativa Ue sulla protezione dei dati, bloccare chi blocca le ads.

Con la proposta di riforma della normativa europea sulla data protection appena presentata, la Commissione tenta di portare chiarezza in questa zona grigia indicando che individuare la presenza di un ad blocker dell’utente non rappresenta una violazione del suo diritto alla privacy in base alla legge Ue. Oltre 200 milioni di persone, riporta il Financial Times, usano questi programmi che intercettano e bloccano le pubblicità, privando gli editori di vitali entrate, pur se spesso proteggendo da inserzioni intrusive.

Il commissario Andrus Ansip, a capo delle politiche digitali europee, ha ammesso che alcuni attivisti della privacy online in Europa potrebbero criticare la decisione di Bruxelles ma ha anche detto che i critici sono “persone che vogliono l’accesso gratis e non si curano dei costi editoriali”. Comunque ora, ha concluso Ansip, “esiste chiarezza legale”.

Soddisfatti gli editori: Paul Lomax, chief technology officer di Dennis Publishing, editore inglese di The Week, ha commentato: “E’ vitale per noi conservare il diritto di proteggere i nostri contenuti da coloro che vogliono usufruirne senza rispettare il necessario scambio di valore”. Insomma, do ut des: la testata online è gratuita, in cambio tocca accettare un po’ di pubblicità.

Nella riforma Ue delle norme sulla privacy restano le regole più severe per vigilare su come gli inserzionisti online tracciano l’attività degli utenti del web al fine di erogare pubblicità, ma alcune misure sono state ammorbidite: per esempio, basterà che gli utenti facciano opt in al traccciamento e non occorrerà più quella “privacy by design” inizialmente nei piani di Bruxelles e che avrebbe richiesto a tutti i browser di usare automaticamente l’impostazione “do not track” per bloccare l’attività di tracciamento degli inserzionisti online. Ma anche qui le critiche non mancano: gli inserzionisti più piccoli temono che la norma Ue avvantaggi i colossi come Facebook e Google, per i quali è molto più facile ottenere l’opt in al tracking dai loro utenti.

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