Preta: “Nuova fase per l’Italia, servizi online driver per la banda larga”

Il fondatore di ITMedia Consulting e docente di Economia analizza la transizione della Tv. “Il campo da gioco si è spostato sullo streaming video e sull’online”. Due i modelli che si vanno delineando: da un lato i fornitori di contenuti-broadcaster dall’altro i big a caccia di alleanze

Pubblicato il 23 Gen 2017

Roberta Chiti

online-video-1260x840-170119091854

«Anche l’Italia, dopo Regno Unito e Nord Europa, sta entrando in una nuova fase di trasformazione del settore Tv. Ormai per tutti gli operatori, nazionali e internazionali, il campo da gioco si è spostato sullo streaming video e sull’online. E questo contribuisce alla messa in moto di un processo virtuoso di sviluppo della domanda di servizi che sta iniziando a partire. E che favorirà la penetrazione della banda larga e ultralarga in un paese come il nostro ancora in grave ritardo». Parla Augusto Preta, fondatore e direttore generale di ITMedia Consulting e docente di Economia dei media.

Anche il mercato dei media italiano in ebollizione. Si affermano nuovi modelli “autoctoni” e sbarcano nuove piattaforme Over the top: in che scenario si inserisce la vicenda Mediaset-Vivendi?

La televisione, come del resto tutti i settori dell’economia “digitale”, è al centro di grandi processi di trasformazione legati all’innovazione e caratterizzati da alcuni elementi chiave: globalizzazione e internazionalizzazione dei processi; trasferimento sulle reti a larga e ultra larga banda delle attività economiche sia in ambiente business che consumer, quest’ultimo in particolare trainato dell’intrattenimento e dai contenuti video; sfruttamento di dati legati alla profilazione del cliente, per meglio assecondarne i gusti e mantenere un alto livello di soddisfazione nell’offerta di contenuti e garantire un altro grado di fidelizzazione. In questo contesto, si inserisce la vicenda Mediaset/Vivendi.

Che però propongono modelli già noti.

Rappresentano entrambi quella che per decenni ha rappresentato la TV “tout court”, che pur rimanendo prevalente in Italia come in Europa ancora per molti anni, avverte ormai la presenza incombente e molto dinamica dei grandi player globali (Netflix, Amazon, Apple, ecc), che con offerte attraenti e a basso costo entrano direttamente sui mercati mondiali approfittando delle economie di scala e di scopo, nella consapevolezza che ormai la sola dimensione nazionale non è più sufficiente a far fronte alle grandi sfide del mercato. I broadcaster che si basano solo su modelli di business consolidati sono penalizzati: la crescita, seppur relativa per ora, si dirige esclusivamente sui nuovi business e sui ricavi dei nuovi entranti e mostra chiaramente come questi soggetti siano in grado di sfruttare meglio le opportunità offerte dall’evoluzione tecnologica e dalle mutate esigenze della domanda.

Quale è la strategia di Bollorè e che possibilità ha il progetto “mediterraneo”?

Se guardiamo al contesto competitivo va sottolineato come l’accordo sottoscritto ad aprile tra Mediaset e Vivendi faceva proprio riferimento alla necessità di creazione di un polo europeo in grado di competere con i grandi rivali continentali come Sky, che aveva da poco costituito un’unica società europea che unisce le attività di tre dei maggiori mercati dove aveva fin a quel momento operato – Regno Unito, Germania e Italia – e con i grandi player globali di video streaming di cui sopra. Al di là dunque delle travagliate e più o meno ostili relazioni con Mediaset, l’idea di fondo di Bollorè rimane la stessa: favorire un consolidamento tra i vari attori, con la possibilità di utilizzare un ampio territorio, il Mediterraneo (Sud Europa e Nord Africa) in grado di allargare il bacino d’influenza a territori ben più ampi (mondo arabo e America Latina), così da rendere più sostenibile la concorrenza con i grandi player globali. Ciò che rende complicato questo progetto è la difficoltà di far convivere realtà tra loro ancora non omogenee e di non facile integrazione: Francia, Italia e Spagna per un verso; telco e media, per l’altro.

Integrazione Tlc-media: il trend è davvero questo? E quale è il modello vincente?

Sotto questo aspetto, se sono chiari i processi in atto, non altrettanto lo sono i fini e in particolare rimane incerto quale sia il modello di business che si vuole sviluppare a seguito di queste operazioni. In altre parole, se l’elemento comune è il consolidamento, legato proprio allo sviluppo dei servizi video (streaming, Vod), meno chiaro è l’obiettivo finale. Negli Usa ad esempio AT&T e Verizon, le due grandi telco, operano in una prospettiva del tutto diversa: la prima attraverso la fusione con Direct TV e successivamente con Time Warner intende trasformarsi in una sorta di one stop shop per la gestione di tutti i servizi legati ai contenuti e al video, indipendentemente dalla piattaforma utilizzata (DirectTV è la più grande pay TV satellitare in Usa e tra le maggiori al mondo); la seconda attraverso l’acquisizione di Yahoo mostra di puntare tutto su internet, bypassando anche le media company, e di voler lanciare la sfida ai grandi player Ott sul loro stesso terreno.

In Europa le cose vanno diversamente?

I grandi gruppi di Tlc e via cavo (Vodafone, Telefonica, BT, Liberty Media), hanno dato vita a processi di fusione e acquisizione integrando fisso, mobile, pay TV, ma anche qui con strategie diverse. Chi come Telefonica persegue un obiettivo analogo a quello di AT&T per trasformarsi come fornitore di servizi a 360° su tutte le piattaforme, chi invece come BT investe cifre consistenti anche nell’acquisto di contenuti premium, in particolar modo quelli sportivi, allo scopo non tanto di remunerare gli investimenti quanto di accrescere maggiormente l’utilizzo della banda e quindi dei servizi esclusivi in quadruple play della stessa BT nei confronti dei concorrenti.

Che modello potrebbe affermarsi in Italia?

Ora come ora sembrano svilupparsi due modelli: uno guidato dai fornitori di contenuti / broadcaster come Sky e in cui Bollorè (Vivendi/TIM ed eventualmente Mediaset) pare voglia giocare un ruolo di primo piano, nel quale l’obiettivo è di sfruttare la titolarità di contenuti pregiati (sport ma anche produzione di contenuti propri) per competere direttamente con i vari Netflix e simili; l’altro, modello Vodafone, in cui le alleanze con i grandi broadcaster e titolari di contenuti consentono a questo operatore di fornire i servizi di tutti, senza alcun vincolo di esclusività, potendo garantire rispetto ai rivali l’offerta più ampia e attrattiva in circolazione.

Anche il nostro Paese sta registrando un arricchimento dell’offerta digitale: cosa comporta per il mercato audiovisivo?

Non c’è dubbio che anche l’Italia, dopo il Regno Unito e il Nord Europa, paesi leader in Europa dove ormai le offerte online competono direttamente con quelle dei tradizionali servizi a pagamento, e seppur ancora leggermente in ritardo rispetto a paesi come la Germania e la Francia, sta entrando decisamente in questa nuova fase di trasformazione del settore. La dinamicità di operatori nuovi come Chili, come pure l’ingresso senza clamore ma di grande rilevanza di un gigante come Amazon, fa capire come ormai per tutti gli operatori, nazionali e internazionali, il campo da gioco si è spostato sullo streaming video e sull’online. Questo vale anche nel settore dell’offerta gratuita, dove colossi come Google con Youtube e Chrome e Facebook, ma anche operatori come Rai, che tramite Raiplay, sta iniziando a offrire servizi davvero attraenti e non più solo doppioni e finestre dell’offerta broadcast, sono destinati a svolgere un ruolo da protagonisti nei prossimi anni.

Tutto ciò comporterà finalmente un salto nella domanda di banda?

In termini di impatto economico sul mercato italiano, le previsioni della mia società ITMedia Consulting, oltre una crescita nell’utilizzo e nella qualità dei servizi online (maggiori cataloghi e novità), non prefigurano a breve termini grandi cambiamenti, soprattutto in termini di rapporti di forza tra i vari attori. Al contempo però tutte queste iniziative contribuiranno a mettere in moto quel processo virtuoso di sviluppo della domanda di servizi che sta iniziando a partire e che favorirà la penetrazione della banda larga e ultralarga in un paese come il nostro ancora in grave ritardo. In una prospettiva più ampia, di 18-24 mesi, è peraltro prevedibile che gli attuali equilibri “televisivi” verranno mano a mano modificati e il mercato italiano, pur con il rischio di lasciare soprattutto a operatori stranieri la guida delle operazioni, potrà essere anch’esso protagonista, al pari dei paesi più avanzati, del grande processo di trasformazione e convergenza in atto a livello globale.

Valuta la qualità di questo articolo

La tua opinione è importante per noi!

Articolo 1 di 3