STRATEGIE

Apple alla sfida Tv. Ma questa volta ce la farà a innovare?

Finora l’azienda ha tradito le promesse sul fronte media. Il problema è che deve inventarsi un Dna che non possiede per entrare in un’arena presidiata dai colossi del settore. Con la nuova app tenta di nuovo l’avventura

Pubblicato il 24 Gen 2017

Antonio Dini

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Tempo di anniversari e di riflessioni a Cupertino. Qual è il futuro della televisione di Apple? I risultati complessivi dell’azienda non sono all’altezza delle aspettative e, come previsto dalle norme interne, ci sono tagli ai salari: anche il Ceo di Apple Tim Cook è misurato per la sua performance e vede diminuire il suo personale assegno da dipendente Apple da 10,3 milioni a 8,75, cioè -15%, ma le stock option restano invariate e valevano 376 milioni nel 2011, quando ha preso le redini dell’azienda poco prima della scomparsa di Steve Jobs.

Sono trascorsi 10 anni dall’annuncio dell’iPhone che fa i due terzi del fatturato dell’azienda e le cui fluttuazioni da sole sono in grado di mettere il segno più o meno davanti alla percentuale di crescita. Ma non c’è stata solo la rivoluzione del telefono cellulare che ha aperto un nuovo ciclo della tecnologia personale, mandando in pensione colossi come Nokia, Motorola, Blackberry (all’epoca Rim). Perché a gennaio del 2007 sul palco del Moscone Center Ovest Steve Jobs aveva presentato anche una scatoletta che nel tempo avrebbe dovuto evolvere da “hobby” sino a diventare vero e proprio blockbuster di Apple. Ma così non è stato.

L’Apple Tv, nonostante sia cresciuta, non è ancora diventata una realtà significativa sul mercato, perlomeno se paragonata all’iPhone e all’iPad. È una delle tante scatolette che si attaccano al televisore e che permettono di fare molte cose. Ma non ha quei “cinque anni di vantaggio” che Steve Jobs sottolineava avesse l’iPhone: un vantaggio forse diminuito ma certamente ancora non esaurito per quanto riguarda il melafonino.

Lo sbarco in televisione di Apple non è stata una sorpresa. Era il nuovo fronte logico dell’azienda. Contro le varie Google con Youtube e Chromecast, ma anche contro Microsoft, Sony Nintendo e poi tutti gli altri player del settore, da Netflix sino alla nostra Chili Tv: questi ultimi tutti appoggiati sulla nuvola, come anche il creatore del cloud computing, cioè quella Amazon che ha fatto sbarcare da poco il suo servizio Prime per il video in tutto il mondo Italia compresa.

Apple è arrivata tardi alla festa, ma si è data parecchio da fare, forte anche di una spettacolare riserva di cash che finora, però, è stata impiegata in modo contraddittorio (come l’acquisizione multimiliardaria di Beats). Ci sono analisti che dicono che Apple avrebbe i soldi e le risorse per finanziare addirittura una scalata all’alleata Disney (di cui la vedova e i figli di Jobs sono complessivamente il primo azionista privato, quasi al 5%).

La prima mossa scelta da Tim Cook è stata lanciare, un anno fa, una Apple Tv con le app, affermando che siano queste il futuro della televisione: “I canali – ha detto il Ceo di Apple – diventeranno app”. C’è chi non è d’accordo, come l’analista di Ovum Rob Gallagher, secondo il quale Apple dovrebbe ammettere di aver sbagliato. “Con il recente lancio della app ‘Tv’ (da non confondere con la scatoletta nera) l’azienda ha ammesso tacitamente il suo sbaglio. ‘Tv’ permette di cercare e scoprire programmi interessanti in maniera trasversale su iTunes, HBO Now, Hulu e varie altre app, esclusa Netflix (che non mette i suoi metadati a disposizione, forte del dominio sul mercato) e con questo Apple ha sostanzialmente ammesso che i consumatori non vogliono tante app diverse per la tv ma una al massimo che permetta di capire cosa vogliono guardare”.

La cosa dunque è più complessa di come la dipingeva Jobs, che pochi mesi prima di morire aveva detto di aver “finalmente capito” come poter fare per rivoluzionare anche il mercato della tv, quel settore che per anni si pensava che Apple, forte del suo lavoro con gli schermi dei computer, avrebbe cambiato lanciando un vero televisore. E poi?

Il problema sono i contenuti. L’azienda ha una lunga esperienza di rapporti con il mondo della musica, per il quale organizza festival (iTunes festival), crea eventi, adesso produce anche canali radiofonici in streaming (Beats One).

Però qui si tratta di lottare per comprare contenuti che anche gli altri hanno (e che spesso non vogliono concedere). O per creare i propri, con grande costo e fatica. Sono cinque anni che Amazon spinge, ad esempio, e solo adesso con alcune serie sta iniziando a raccogliere i primi risultati, dopo fallimenti anche eccellenti, come la serie prodotta da Woody Allen.

Il problema per Apple è che l’azienda deve inventarsi un Dna che non possiede per entrare in questa arena, difesa con energia da tutti i colossi del settore televisivo, che non vogliono fare la fine dei loro colleghi dell’industria musicale o cinematografica.

Il Dna richiesto è diverso da quello della musica, che Steve Jobs aveva proposto come veicolo di marketing ma anche come chiave di volta per aprire un mercato (così come, pochi anni prima, Jeff Bezos aveva scelto analiticamente la distribuzione di libri tra venti altre possibili categorie merceologiche di e-commerce). Un Dna diverso da quello dell’innovazione tecnologica, che l’azienda ha saputo governare grazie all’eccellenza dei suoi programmatori e ingegneri, e alla strategia di una ferrea integrazione verticale dei suoi prodotti.

Inoltre, anche Apple è in fase di profonda mutazione con Tim Cook. Dall’azienda super minimalista di “less is more” con Steve Jobs alla fine degli anni Novanta, l’epoca della reinvenzione di Apple (con il successo dell’iMac e poi della matrice di due prodotti consumer e due prodotti professionali, massimo della semplificazione) sino all’apertura dei primi negozi monomarca superminimalisti, Apple aveva eliminato qualsiasi prodotto inutile dal catalogo. Il 90% degli accessori era stato cancellato. Poca scelta perché il pubblico non vuole avere dubbi quando si tratta di scegliere prodotti belli, di moda. Perché i dubbi diventano distrazioni e poi non si vende più. Adesso le cose non sono più così. Il nuovo mantra di Apple sembra essere “Life is complex”. Il mercato chiede ad Apple di mutare pelle. E l’azienda lo sta facendo. Decine di prodotti e linee di prodotti, dai telefoni ai set-top-box, dagli orologi ai tablet, dai computer (sette diverse linee di prodotti in almeno tre varianti ciascuna) alle infinite linee di accessori per ciascuna categoria.

Una mutazione che però non è terminata: il catalogo delle referenze non basta più. Dopo gli apparecchi Apple si deve buttare sui contenuti, in particolare sulla televisione. Si passa insomma dai prodotti ai servizi. Tutti i grandi della tecnologia stanno giocando questa partita. Il difficile è provare ad essere innovativi, soprattutto considerando che il singolo contenuto/prodotto – uno sceneggiato, un film o un telefilm – ha costi elevati e alta fallibilità. Anche le regole del gioco sono diverse. La macchina delle Pr e il marketing necessari a far decollare una serie televisiva sono molto diversi da quelli per lanciare un prodotto hi-tech. E anche le aspettative del pubblico di utenti/spettatori.

Apple non è nuova alle sorprese: in un anno l’impatto degli Apple Watch sull’industria orologiera svizzera è stato sentito molto chiaramente. Il nuovo iPad Pro, gigantesco tablet con pennino, ha venduto più di tutti i Surface prodotti da Microsoft. Però questi sono prodotti. I contenuti sono un’altra cosa. E finora la Tv di Apple non ha fatto la rivoluzione.

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