Non è andato giù al dipartimento di giustizia degli Stati Uniti il fatto che Uber abbia utilizzato un “software segreto” per fare in modo che i propri autisti non incorressero nei controlli delle forze dell’ordine nelle città dove la società non disponeva delle autorizzazioni per svolgere il proprio servizio. L’inchiesta penale – secondo alcune fonti citate dai media statunitensi – segue l’indagine civile già aperta a suo tempo.
Il software nel mirino si chiama “Greyball”, ed è stato utilizzato da Uber nelle città in cui il servizio è vietato o soggetto a restrizioni. “Greyball” permette infatti agli autisti di individuare se una chiamata arriva da un agente. A quel punto sul telefonino da cui è stata attivata la app partono delle macchinine “fantasma” che simulano l’arrivo del taxi che invece non arriverà mai. Uber ha proibito l’uso di “Greyball” dopo che il New York Times lo scorso marzo rivelò l’esistenza del software, specificando che lo stesso sistema sia stato utilizzato anche in alcuni Paesi europei, compresa l’Italia.
Intanto a Roma è iniziato oggi il processo per il ricorso da parte di Uber contro la sentenza emessa dal Tribunale civile di Roma che ha dichiarato la concorrenza sleale nei confronti dei tassisti da parte della multinazionale. “Sono qui da cittadino più che da tassista – afferma il presidente dell’associazione Tutela legale taxi Alessandro Genovese – perché voglio capire come è possibile che i rappresentanti dei consumatori invece di difendere il servizio pubblico siano qui per appoggiare una multinazionale che, come abbiamo appreso oggi, in America usava un software per eludere i controlli della polizia”.