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Iacovone: “Digitale non è solo disruption. Priorità alla concretezza”

Conto alla rovescia verso il Digital Summit 2017. Experience, Value e Business le tre parole chiave. Riflettori puntati sulle competenze. Appuntamento a Capri dal 4 al 6 ottobre

Pubblicato il 20 Set 2017

Mila Fiordalisi

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Qual è il valore concreto del digitale? Come trasformare la “disruption” in margini e flusso di cassa? Quali sono gli investimenti imprescindibili ai fini della crescita futura? E come passare dalla logica di prodotto a quella di servizio per differenziarsi dai competitor? Sono questi gli interrogativi dirimenti sul tavolo degli imprenditori e delle aziende italiane. Perché come la si giri, “business is business” e il digitale non fa eccezioni e deve portare soldi a casa.

Al di là dei bei discorsi e dei riflettori puntati sulle “virtù” ed i benefici della digitalizzazione, bisogna dunque fare i conti con la “quotidianità” e venire a capo delle questioni spinose, trovare la quadra insomma. Ed è proprio ai temi concreti che EY ha deciso di dedicare l’edizione 2017 del Digital Summit di Capri. Experience, Value, Business le tre parole chiave della tre giorni (4-6 ottobre) che riunirà a dibattito manager, analisti, esperti e rappresentanti delle istituzioni e delle PA. “Sarà un evento nel segno della concretezza, anche a seguito delle necessità emerse dalle conversazioni preliminari con gli oltre 80 relatori della sessione plenaria e dai tavoli di lavoro della Road to Capri – racconta a CorCom Donato Iacovone, amministratore delegato di EY Italia nonché managing partner per Italia, Spagna e Portogallo -. Numerose le storie reali che porteremo sul palco. E sarà inoltre possibile toccare con mano l’innovazione grazie alle isole digitali, veri e propri corner per conoscere da vicino le soluzioni più all’avanguardia dei nostri partner tecnologici”.

Iacovone, come passare dalla teoria alla pratica? Non è cosa semplice

A Capri vogliamo proprio aiutare aziende e istituzioni a capire come sfruttare questo momento favorevole per il nostro Paese, che vede il Pil in crescita, investendo su ciò che è realmente prioritario per crescere nei prossimi anni. Non è semplice ma si può e si deve fare. E abbiamo deciso di raccontare esperienze concrete in cui è evidente che la trasformazione digitale non è solo “disruption”, ma crea valore. Tanto per fare un esempio i primi top-20 digital player, sia “puri”, Google & co., sia non, Microsoft & co. Hanno generato quasi 5 mila miliardi di dollari di valore, come dimostra la capitalizzazione di Borsa.

E cos’è prioritario?

La trasformazione digitale richiede nuove competenze, questo è un dato di fatto nonché una criticità. Tutte le aziende con cui ci confrontiamo individuano nella mancanza di skill adeguati il vero nodo. Oramai tutti hanno capito cosa sono le tecnologie e anche come implementarle. Il problema è che manca il know how per metterle a frutto. Forte è la richiesta di professioni Ict, in aumento mediamente del 26%, con picchi del 90% per le nuove professioni legate alla trasformazione digitale, come i Business Analyst e specialisti dei Big Data. Si stima che nel triennio 2016-2018 si potrebbero creare 85.000 nuovi posti di lavoro che richiedono specializzazioni nelle tecnologie digitali. Nel nostro Paese però, a causa di un gap in termini di offerta formativa, di risorse e focus sui percorsi di studio scientifici, le competenze digitali sono insufficienti: in Italia solo 1 lavoratore su 3 ritiene di possedere le necessarie competenze digitali; due italiani su tre si dichiarano digitalmente impreparati, il 5% in più rispetto al dato medio globale (67% contro 62%). Inoltre il 70% dei lavoratori italiani pensa che la propria impresa non disponga di personale con le competenze adeguate ad avviare il percorso di digitalizzazione. Oltre alle skill tecniche, l’Industry 4.0 richiede anche un nuovo mindset.

In che senso?

Serve un mix articolato di competenze, che va dalla capacità di collaborare in un contesto sempre più interconnesso a quella di prendere decisioni data driven, all’abilità di immaginare il futuro. Il cambiamento è molto veloce e nuove professioni vedranno la luce grazie al continuo progresso della tecnologia: entro il 2020 scompariranno 7,1 milioni di posti di lavoro nel mondo e ne verranno creati 2 milioni, con una perdita netta di 5,1 milioni di posti che, anche grazie alla formazione, dovranno essere riposizionati in un sistema 4.0.

A proposito di data driven, come sfruttare la crescente disponibilità di dati?

Occorre investire consapevolmente sui Big Data, il cui mercato in Italia vedrà quest’anno volumi doppi rispetto a solo 3 anni fa, superando i 1.200 milioni di euro. Non solo ne possono beneficiare le aziende, ma anche le amministrazioni pubbliche: ad esempio gli operatori di car sharing collezionano una mole enorme di dati sugli spostamenti dei propri clienti che, in ottica di partnership, le amministrazioni potrebbero richiedere per capire e gestire meglio i flussi di traffico nelle città.

Riguardo al piano Industria 4.0 cosa pensa delle iniziative in campo?

Il Piano ha innescato un meccanismo virtuoso che ha messo in moto le piccole e medie imprese. Tutti iniziano comprando macchine poi scoprono che possono connettere quelle macchine e usare software correlati. Ed è qui che si crea quella “contaminazione” di valore che coinvolgendo i processi si estende man mano a tutta la supply chain. Gli incentivi rappresentano lo stimolo ad investire al di là del valore economico, ed è molto importante in questo momento stimolare la qualità e l’efficienza.

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