IL RAPPORTO

Banda ultralarga, I-Com: “Serve shock della domanda”

Copertura delle infrastrutture al 72,3%, colmato il gap con l’Europa. Ma gli abbonamenti alla fibra sono di appena il 3%, una distanza di quasi 17 punti dalla media Ue. E la forbice si sta allargando. Deludenti anche i risultati sul fronte Industria 4.0: pesa la scarsa formazione delle risorse

Pubblicato il 31 Ott 2017

fibra-420980011-170412162730

L’Italia ha fatto notevoli passi in avanti sul fronte dell’infrastrutturazione broadband al punto da chiudere il gap con l’Europa. Ma sta aumentando il gap sul fronte della domanda: nonostante la disponibilità di reti gli italiani restano sostanzialmente “fedeli” alle vecchie connessioni. Una situazione allarmante che rischia di far aumentare ulteriormente il nostro divario. È quanto emerge dal Rapporto 2017 sulle reti e i servizi di nuova generazione a cura di I-Com.

Danimarca regina d’Europa, Italia solo 22ma in classifica

L’indice Ibi (I-Com Broadband Index) vede in pole position la Danimarca (con 100 punti in qualità di best performer) seguita da Svezia (99,6) e Lussemburgo (99,3). Gli analisti segnalano i progressi della Lettonia, balzata al settimo posto con un punteggio di 90,7 (ha guadagnato due posizioni in un anno). La Spagna, nonostante il 15mo posto ne ha guadagnati quattro in un solo anno. L’Italia resta invece nella parte bassa della classifica: è cresciuta di una posizione rispetto all’edizione 2016, dalla 23a alla 22° e ha ridotto di oltre cinque punti la distanza dal Paese leader, grazie soprattutto ai miglioramenti sul piano dell’offerta digitale fissa, dove la copertura è passata dal 43,9% al 72,3%, un salto in avanti notevole che va quasi a chiudere il gap rispetto alla media europea, ridottosi a soli 3,7 punti.

Le notizie positive non compensano però la situazione negativa sul fronte della domanda: resta, in particolare, molto deludente – si legge nel report I-Com – il numero di sottoscrizioni di abbonamenti in fibra, pari nel 2016 a solo il 3% del totale degli abbonamenti in banda larga, un dato notevolmente al di sotto della media europea (-16,7 p.p.), così come la diffusione dell’e-commerce (-21,2 p.p.). Andando ad analizzare l’IBI lato domanda e l’IBI lato offerta emerge come l’Italia, 20a sul piano dell’offerta – guadagnando una posizione rispetto alla classifica 2016 – occupi addirittura la 25ma posizione sul piano della domanda – stabile rispetto alla classifica dello scorso anno, ma registrando un peggioramento nel punteggio IBI, dato che segnala l’esistenza di miglioramenti evidentemente troppo modesti, soprattutto in confronto ad altri Paesi che procedono più spediti.

“È evidente che l’Europa viaggi a due velocità, con i Paesi del Nord che primeggiano dal punto di vista infrastrutturale e della penetrazione dei servizi digitali”, sottolinea Stefano da Empoli, presidente di I-Com. “Anche l’Italia, in questa corsa ad ostacoli verso la digitalizzazione, sta facendo la sua parte, quantomeno sul piano dell’offerta. Per molti anni il nostro Paese ha scontato un grave ritardo infrastrutturale e culturale, poi l’adozione a marzo 2015 della Strategia nazionale per la banda ultra-larga e della Strategia per la crescita digitale 2014-2020 ha segnato un momento di svolta, creando così un clima di maggiore fiducia. Per questo, oggi, è fondamentale premere sull’acceleratore, da un lato attuando il più velocemente possibile gli investimenti in banda ultra-larga, dall’altro imprimendo un colpo di frusta alla domanda, con misure straordinarie e non più differibili, come il switch-off dell’accesso analogico ai servizi pubblici”.

I-Com ci tiene però a sottolineare come l’adozione nel marzo 2015 della Strategia nazionale per la banda ultralarga e della Strategia per la crescita digitale 2014-2020 abbiano segnato “un momento di svolta per il nostro Paese”, creando “un clima di maggiore fiducia e avviando “un processo virtuoso infrastrutturale prodotto dagli ingenti investimenti da parte degli operatori che stanno consentendo al nostro Paese di accelerare il recupero rispetto ai best performer europei, tanto da poter ribadire con più forza l’Italia come un fast mover nel contesto europeo, cioè un Paese che, pur partendo da una condizione di ritardo rispetto alla media europea, è sulla strada giusta per colmarlo entro un periodo di 3-5 anni”.

Puglia regione al top

Entrando nel dettaglio territoriale è la Puglia la regione con la maggior percentuale di copertura delle unità immobiliari: 87%, ossia 15,5 punti percentuali oltre la media nazionale che si attesta al 72,3%. A seguire il Lazio, dove in media oltre una unità immobiliare su cinque è raggiunta dalla rete e grandi passi in avanti – evidenzia il report – sono stati compiuti in Basilicata, dove solo un’abitazione su due risultava raggiunta dalla rete di ultima generazione, dato oggi pari al 73% (solo 1 punto di scarto rispetto alla Lombardia).

Per quanto concerne invece il numero di comuni coperti da almeno uno dei tre operatori, Toscana e Sicilia sono le due regioni con la più ampia copertura di comuni – la prima con l’83,2%, la seconda col 70,8%. E rispetto allo scorso anno – fa notare l’I-Com il numero di comuni raggiunti dalla rete di ultima generazione è cresciuto notevolmente, raggiungendo un totale, a livello nazionale, di 3.524 comuni (43,8%).

Per quanto riguarda, il comparto mobile e in particolare lo sviluppo della rete 4G, il grado di copertura in termini di popolazione è oramai in generale piuttosto elevato, con percentuali superiori al 95% in tutte le regioni ad eccezione di Sardegna, Molise e Basilicata, dove la copertura ha comunque raggiunto, rispettivamente, il 93,5%, 93% e 92,5%, con un gap rispetto alla media nazionale ridotto ormai a soli 4-5 punti.

Industria 4.0, bicchiere mezzo vuoto

Piuttosto deludente – si legge nel report – appare il grado di adozione dei sistemi di identificazione a radio frequenza (RFID), dei servizi di cloud computing ad elevato livello di sofisticazione o degli strumenti di Big Data Analytics (BDA) – rispettivamente pari al 13%, 9% e 7% delle imprese manifatturiere europee, con dati piuttosto in linea per l’Italia. “Tra i maggiori ostacoli allo sviluppo del nuovo paradigma industriale, al di là degli aspetti tecnologici ed infrastrutturali, vi è tuttavia un non trascurabile problema culturale e di formazione.

Un altro aspetto che senza dubbio desta una certa preoccupazione è la cybersecurity. Le imprese cominciano a munirsi di strumenti idonei, ma si parla di un livello di diffusione ancora troppo basso: solo il 43% delle imprese manifatturiere italiane (il 32% di quelle europee) ha formalizzato una politica di cybersecurity all’interno della propria azienda. La preoccupazione principale è legata alla distruzione o corruzione dei dati, rischio particolarmente sentito in Italia, dove quasi il 40% delle imprese manifatturiere adotta una politica di protezione contro questo genere di rischio (10 punti in più rispetto alla media europea). Nel complesso, come rileva l’I-Com Industry 4.0 Index – un indice sintetico che tenta di dare un’idea complessiva del grado di preparazione delle imprese italiane all’Industria 4.0, in un confronto europeo – l’Italia si classifica solo17a, con un punteggio (78) tuttavia solo di poco inferiore alla media UE (80). “Di questo ritardo il principale responsabile è il gap di competenze digitali, seguito da quello infrastrutturale che tuttavia appare in via di riduzione. È dunque evidente come nel futuro immediato occorra aggredire la principale ragione di arretratezza dell’industria nazionale rispetto ai temi della digitalizzazione costituita dal fronte educativo e formativo”.

Audiovisivo sempre più convergente

Il mercato è caratterizzato da processi di integrazione tra pay-TV e società di telecomunicazioni: le telco, offrendo servizi triple/quadruple play, si stanno trasformando in media company, per cercare di stare al passo con la crescita esponenziale degli OTT che, nel 2022, varranno 83 miliardi di dollari. I contenuti sono il valore aggiunto del mercato: per accaparrarseli si spendono cifre sempre più consistenti.

La pubblicità digitale è ormai una realtà: nel 2016 quasi un terzo degli investimenti globali in advertising sono da attribuire a Internet (desktop + mobile). Siamo ormai ai livelli della televisione. Google e Facebook si spartiscono quasi la metà del mercato pubblicitario digitale.

In merito alla penetrazione delle piattaforme, se il DTT è pressoché presente in tutte le famiglie, aumenta il numero di quelle che scelgono anche il satellite come modalità trasmissiva: segno dei tempi che cambiano e della presenza di tecnologie più performanti, agevolate da televisori connessi in rete o 4K. Uno dei limiti del DTT rispetto alle trasmissioni satellitari è la scarsità della banda a disposizione per la trasmissione in HD (o Ultra HD), problema che potrebbe essere migliorato dal passaggio ad un sistema di trasmissione più efficiente (il DVB-T2 che sostituirà l’attuale DVB-T), e ad una codifica che risparmi dati a parità di qualità (HEVC). Entro il 2022 si dovrà procedere ad un nuovo switch-off per liberare la banda 700 Mhz.

“Il mercato audiovisivo italiano, dopo anni di declino, ha registrato un decisivo ritorno alla crescita, con i ricavi sopra gli 8 miliardi di euro”, evidenzia Bruno Zambardino, Direttore Direttore Osservatorio Media di I-Com. “Se Internet si consolida attraverso il presidio di tutti i principali operatori nazionali e internazionali, il satellite tiene il passo e lancia le trasmissioni in 4K, mentre il DTT si prepara allo switch off della banda 700 Mhz. Nonostante la banda ultralarga copra oltre il 70% del territorio italiano, gli utenti abbonati a servizi video on demand sono ancora il 12%. Entro il 2018 si stimano circa 4 milioni di utenti di servizi audiovisivi on demand a pagamento, a dimostrazione di una dinamicità del settore a fronte di ricavi ancora esigui, attorno ai 70 milioni di euro”.

Valuta la qualità di questo articolo

La tua opinione è importante per noi!

Articoli correlati