L'EDITORIALE

Nomine Agcom, il nostro endorsement: tecnici, non politici

Mercoledì Camera e Senato nomineranno i nuovi commissari di Agcom. Troppi nomi di politici in circolazione come candidati. Se la politica vuole riacquistare credibilità, resti fuori un giro e punti sui tecnici. In gioco non ci sono poltrone o interessi particolari, ma la credibilità di Agcom

Pubblicato il 03 Giu 2012

Gildo Campesato

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Mercoledì Camera e Senato si riuniranno per votare i quattro nuovi componenti di Agcom. Il presidente verrà indicato dal Presidente del Consiglio, anche se dovrà passare il vaglio delle commissioni parlamentari competenti.
Mai come questa volta la selezione del Consiglio Agcom è stata accompagnata da discussioni e polemiche che hanno fatto traballare il tradizionale tavolo dei giochi di partito, sino a dare l’impressione, in certi momenti, di poterlo addirittura abbattere.
Così non è stato e il pallino è tornato nuovamente in mano ai gruppi parlamentari. Come è naturale, visto che la scelta dei commissari spetta alla politica. È così in tutto il mondo. Il presidente della Fcc, per fare un esempio “anglosassone”, è stato nominato direttamente dal presidente Obama, anche se poi ha dovuto affrontare il vaglio del Congresso. Per inciso, Genachowski ha una precedente esperienza professionale in aziende televisive e della new economy oltre ad essere il responsabile Technology, Media and Telecommunications della scorsa campagna elettorale di Obama.


La particolarità italiana (con noi Grecia e Spagna) è che l’individuazione dei commissari non spetta al governo o ai ministri competenti, che si intestano chiaramente la responsabilità della decisione pur con le diverse verifiche parlamentari, bensì alle Camere con un voto segreto dei singoli parlamentari e con meccanismi di garanzia per la minoranza. Questo per evitare che la maggioranza si prenda tutto, lasciando con un pugno di mosche l’opposizione. Tale impostazione pare assai difficile da modificare a breve, tanto più che Agcom, oltre che di telecomunicazioni, si occupa anche di Tv, con tutte le conseguenze che ciò significa in Italia. Per cambiare il quadro ci vorrebbe una rivoluzione istituzionale, visto che essa presuppone rapporti totalmente diversi non solo fra governo e nomine pubbliche, ma anche fra governo e Parlamento. Non ci siamo ancora. Se mai avverrà, sarà frutto della terza repubblica.


La decisione di coinvolgere l’opposizione nella individuazione dei commissari Agcom prevista di fatto dalla legge istitutiva e mantenuta dai recenti aggiustamenti, ha aperto la strada ad una più articolata presenza in Consiglio delle diverse sensibilità, ma ha anche dato adito a procedure oscure, scelte poco chiare, spartizioni di poltrone che poco hanno a che fare con la professionalità e la qualità morale dei prescelti. Lo si è visto abbondantemente nelle due precedenti consigliature. Contro tutto questo si è ribellata la Rete che ha svolto un ruolo dirompente, tallonando la politica e rompendo giochini ben collaudati. È stata chiesta trasparenza nelle procedure, indipendenza, professionalità, competenza dei candidati. Un movimento da salutare: tutto ciò che stimola la partecipazione dei cittadini in un momento di crisi di rappresentatività della politica è positivo.
Anche se, va detto con altrettanta chiarezza, certe iniziative improvvisate non portano da nessuna parte. Lo si è visto con la vicenda dei curricula. Pensati come contributo alla valutazione della professionalità dei candidati, la massa delle richieste arrivate al parlamento dalla “base” (qualche centinaio, a quanto pare) non ha fatto altro che alimentare la confusione e riportare il pallino nelle mani dei partiti. Ridicolo immaginare che il Parlamento si metta ed esaminare una ad una le singole autocandidature. E poi, su che base,con quali parametri, con quali metodi valutare il valore dei curricula?


Le nomine di Agcom non sono una gara elettorale fra opposte posizioni ideologiche, né uno scontro tra fazioni e interessi contrapposti, come non sono una competizione fra programmi e persone e nemmeno un concorso parauniversitario per titoli. Casomai, sono temi da cacciatori di teste, se vogliamo celiare.
Il consiglio Agcom e il suo presidente costituiscono una autorità di garanzia chiamata a regolare i mercati delle telecomunicazioni, della televisione ed ora anche postale, non un parlamentino in miniatura. Proprio per questo le responsabilità della politica sono oggi ancora maggiori che in passato. I membri sono scesi da otto a quattro. Se prima qualche nome sbagliato poteva venire compensato dalla presenza in consiglio di persone valide e pienamente competenti, oggi una scelta di commissari non all’altezza peserebbe inevitabilmente in maniera drammatica sulle decisioni, sul modo di lavorare e sulla credibilità di Agcom. Una ragione in più per chiamare la politica alle sue responsabilità di classe dirigente, non di distributore di poltrone al valvassino di turno.


La nuova Agcom dovrà affrontare subito alcune questioni chiave: piano frequenze, regole per le reti Ngn, tutela del diritto d’autore. C’è bisogno di persone non solo indipendenti, limpide e con un ottimo curriculum professionale ma anche di persone preparate nelle materie che Agcom dovrà affrontare sin da subito. Non c’è tempo per gli allenamenti: in partita si entrerà subito.
Eppure, alla vigilia del voto delle Camere continuano a circolare ipotesi di candidature che hanno il sapore di promozioni personali, di difesa di interesse particolari, di distribuzione di poltrone. Non è in ballo la qualità dei singoli membri, ma le conseguenze che certe scelte inevitabilmente avranno. Per questo giro si lasci il personale politico fuori dalla porta e si punti su tecnici dalle qualità professionali e morali riconosciute. È questo il nostro endorsement. La buona politica avrebbe solo da guadagnarci, così come la credibilità e l’operatività di Agcom.

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