VENTURE CAPITAL

Start up, Dettori: “Crescita 2.0, un primo passo”

Il venture capitalist: “Non è ancora chiaro lo snodo risorse. Speriamo nel dibattito in Aula”

Pubblicato il 16 Ott 2012

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«Difficile fare il venture capital senza capital». Con questa battuta Gianluca Dettori sintetizza il vero handicap delle start up in Italia. Circolano ancora troppi pochi soldi, dice lui che fa start up da quindici anni, dal lancio di “Italia on line” in Olivetti alla “invenzione” della piattaforma musicale Vitamic. Da manager a imprenditore e adesso investitore con DPixel. A una prima lettura del decreto sviluppo bis dice: “Non è male. L’intenzione di immettere liquidità nel sistema c’è, ma non è chiaro da dove dovrebbero arrivare le risorse. In Parlamento c’è una proposta di legge che prevede un Fondo dei fondi. Speriamo nel dibattito in aula”.
Il mercato italiano resta asfittico, ma Dettori ha appena fatto un nuovo investimento in CicerOos, un motore di ricerca dedicato al mondo dei viaggi a guida semantica multilingue. “Vedo in giro tante start up di qualità e questo mi dà la carica, mi spinge a remare anche controcorrente. TechCrunchItaly è stato un punto di svolta importante, perché ha fatto coagulare un bel pezzo dell’ecosistema. È emersa la punta di un iceberg. Adesso bisogna sostenerla ed evitare che si reimmerga, magari liquefatta”.
Nonostante tutto, quindi, lei resta ottimista?
Sì, da luglio sto girando l’Italia con un camper per scoprire talenti e realizzare le loro idee. E dappertutto trovo ragazzi che fanno start up. Barcamper è partito dalla Calabria ed è stato una sorpresa. Sono arrivati un centinaio di progetti, molti di qualità. E ne sono stati selezionati 23 per la TechWeek, una settimana di full immersion per scrivere il business plan. I dieci migliori parteciperanno al TechGarage, cioè la presentazione agli investitori. Ci sono storie bellissime.
Ce ne dice una?
Due ragazze, un’ingegnere meccanico e l’altra gestionale, con un’altra calabrese che era andata a fare il chirugo in Germania, si sono inventate una speciale pinza per la laparoscopia che aumenta le possibilità di riuscita degli interventi. Bellissima storia, anche perché il chirurgo è un cervello che così torna in Italia.
Le start up sono quindi un’opportunità per tutto il Paese?
Sì. Perché questi ragazzi che fanno start up credono nel futuro. Questa generazione c’è e non va lasciata sola. Noi continueremo con il nostro Barcamper, che adesso va in Piemonte. E nel 2013 faremo almeno 50 tappe in giro per l’Italia. Perché la voglia di partecipazione è alta. Le iscrizioni online sono centinaia. C’è una grandissima voglia di fare. Basti pensare che per 20 grant di Working Capital (il progetto per le start up di Telecom Italia) sono stati presentati 771 progetti!
Quando cominciano le difficoltà?
Dopo. Quando si devono trovare le risorse finanziarie per far partire le buone idee.
Mancano i soldi o c’è qualche altro ostacolo?
Io non credo che non ci siano i soldi. Credo che ci sia un problema di attenzione. Nel mondo ci sono investitori istituzionali che da tempo puntano sulle start up. Negli Usa lo fanno i fondi pensione, anche perché la start up è l’investimento giusto per chi ha tempi lunghi.
E in Italia?
In Italia ce ne sono tantissimi, di fondi previdenziali e alcuni hanno investito in fondi di venture capital. Ci sono poi le fondazioni bancarie, le finanziarie territoriali. Insomma, gli attori non mancano. Basterebbe un segnale di attenzione nei confronti dell’ecosistema start up.
E il decreto sviluppo bis non è un segnale?
Certo, è un primo passo. Il Fondo dei fondi proposto dalla task force del ministro dello Sviluppo economico sarebbe la soluzione migliore. Ma la legalizzazione del crowdfunding è importante, anche se limitato a start up che abbiano già la “certificazione” di un investitore professionale, business angel o venture capitalist. Negli Stati Uniti lo strumento è più ampio ed è pensato anche per le pmi. Lì hanno calcolato che solo in un anno potrebbe liberare risorse per 20 miliardi di dollari. A noi basterebbe molto meno per decollare.

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