START UP

Parisse (Vodafone): “Italia, acceleratore di futuro”

Il lancio di xone farà da cartina di tornasole per le iniziative future, dice il direttore Consumer Services del Gruppo: oggi l’innovazione non nasce più nei laboratori delle aziende ma dall’attività di piccoli imprenditori indipendenti. Alle società spetta il compito e la responsabilità di valorizzare le nuove idee

Pubblicato il 26 Nov 2012

Giovanni Iozzia

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L’innovazione non si fa più in casa. Ma va cercata e sostenuta nei territori sterminati delle start up. E se lo dice Stefano Parisse, che dell’innovazione ha fatto la cifra della sua carriera, c’è da crederci. Dopo aver giocato partite delicate in Italia come quella della fibra e delle frequenze e aver guidato le strategie di Vodafone in un mercato fondamentale come l’Italia, Parisse dal 1 ottobre è stato nominato direttore Consumer services del gruppo. Da Londra dovrà costruire e mettere sul mercato nuovi servizi e prodotti in tutto il mondo. Ed è convinto che per farlo meglio sia necessario attingere alla miniera di idee generata dalla nuova imprenditoria giovane e digitale. Ecco perché siede anche nel board di Vodafone Ventures. E perché ritiene che sia importante il lavoro di xone, l’acceleratore appena lanciato anche in Italia. “È una nuova fase: l’innovazione non nasce più nei laboratori di ricerca delle grandi aziende, ma grazie all’attività di piccoli imprenditori indipendenti – spiega Parisse -. Alle grandi aziende, però, resta il compito e, direi, la responsabilità di cogliere le nuove idee e valorizzarle. Ci rendiamo conto, per esempio, che le infrastrutture tecnologiche di una compagnia come Vodafone sono grandi abilitatori di innovazione”.

Quindi Vodafone ha acceso i riflettori sulle start up per rilanciare sul fronte dell’innovazione?

Noi stessi siamo stati una start up in un settore che era una grandissima start up con una mission che allora sembrava impossibile: far parlare le persone fuori dalle case e dagli uffici. Quella scommessa, fatta nei primi anni ‘90, è stata vinta: l’industria della comunicazione mobile ha avuto successo. Da allora abbiamo creato e dato sempre qualcosa di rilevante ai nostri clienti: gli sms, la connessione alla rete, le chiavette per il traffico dati, gli smartphone. Adesso si apre una nuova frontiera.

Come è nato il progetto a favore delle start up ?

Già 13 anni fa ci eravamo resi conto che per abilitare l’innovazione dovevamo stare vicini alle start up, capire la loro mentalità. Così abbiamo deciso di aprire una sede nella Silicon Valley con Vodafone Ventures, lo strumento per investire non in fase embrionale, in fase di seed, ma in nuove imprese già avviate, ma con la necessità di fare un salto di qualità e di dimensione.

xone, quindi, è un’evoluzione di questo percorso?

Sì, il modello si è evoluto un anno e mezzo fa, quando a Vodafone Ventures è stato affiancato un acceleratore: non più quindi, soltanto soldi, ma anche uno spazio in California dove far crescere le start up. Abbiamo creato lì una riproduzione in scala della nostra rete per poter testare le idee. Come avere un pezzo di Vodafone nella Silicon Valley, per mettere le start up in condizione di costruire prodotti e servizi facilmente integrabili con la nostra infrastruttura.

Questo lavoro di “abilitazione” è stato fatto solo negli Stati Uniti?

No, anche in diversi mercati emergenti. Come a Bangalore, dove si studiano servizi per mercati con cellulari non ancora smartphone. Il 12 dicembre, a Johannesburg, poi daremo un premio per la migliore start up per “feature phones”, i cellulari che si collegano a Internet ma senza piattaforma di mobile computing.

Sono ancora così importanti questi cellulari?

Certo, non ci sono solo Android o iOs. Metà del mercato europeo è ancora fatto da cellulari che non sono smartphone. Sono 2/3 se si guarda al mondo. Ci sono quindi sviluppatori che si ingegnano per costruire servizi utilizzabili con cellulari che costano 15/20 euro. Anche questa è una forma di democratizzazione dell’uso della Rete.

L’innovazione non è quindi esclusiva dei Paesi maturi?

Assolutamente no. Noi abbiamo intenzione di portare il nostro modello anche nei Paesi emergenti.

I piani di diffusione di xone?

Dopo gli Usa abbiamo deciso di venire in Italia, che per noi è un mercato importante.

Quindi quello italiano è il secondo insediamento o forse quasi il primo, se si considera quello nella Silicon Valley una sperimentazione o la casa madre…

Sì. Non dimentichiamo che l’Italia è un mercato molto avanzato per la telefonia mobile. xone è stata pensata per dare ai nuovi imprenditori italiani e alle loro idee la possibilità di avere accesso a tutti i mercati in cui Vodafone opera, con una forte integrazione con il centro della Silicon Valley, senza dimenticare le aree emergenti del mondo.

Altre prossime aperture?

In Europa stiamo considerando l’Inghilterra. Poi un altro paio di Paesi maturi. Aspettiamo anche di vedere come funzionerà xone Italia.

Perché?

L’Italia sarà una cartina di tornasole per le iniziative future. Molto spesso dall’Italia sono partite tante idee per la telefonia mobile e non solo.

Come si capirà se xone funzionerà?

Aver successo significa individuare start up che avranno successo. La nostra ambizione è facilitarne la crescita, raggiungendo i nostri clienti attraverso la nostra infrastruttura tecnologica e i nostri canali di vendita. E, se i servizi saranno davvero innovativi, sarà un successo anche per i nostri clienti. Deve essere un’operazione win-win, in cui ci guadagnano tutti: Vodafone, le start up, i clienti.

L’innovazione creata in un posto è “capitalizzabile” altrove?

Sì, è possibile. Perché le Internet company ci hanno insegnato che i mercati non sempre sono così diversi come a volte si pensa. E i consumatori hanno molto in comune. Una buona notizia per grandi aziende multinazionali come noi.

Ha funzionato il vostro modello di inserimento di innovazione dall’esterno? Può farci un esempio?

Sì, ha funzionato e il modello può essere riprodotto. Vodafone Venture ha finanziato nel 2011 VoucherCloud, una start up nel settore del mobile couponing. La scorsa estate abbiamo deciso di comprarla. E i ritmi di crescita sono impetuosi: dopo la Gran Bretagna, dove è basata, hanno sviluppato il servizio in Irlanda e in Olanda.

Come funziona l’acquisizione? Le società entrano nel gruppo?

No, noi restiamo solo azionisti. Le società devono continuare a essere gestite e a crescere come start up.

Innovare con questo modello costa meno?

Soprattutto comporta una minore fatica organizzativa. E l’innovazione è più rapida ed efficiente.

Quali sono le frontiere dell’innovazione nella mobile industry?

La prima è senz’altro quella del pagamento via smartphone. In Italia siamo già partiti con i pagamenti Nfc attraverso Vodafone Smart Pass più di un anno fa. Circa un mese fa abbiamo trasferito Smart Pass sugli smartphone e lo stiamo facendo testare ai nostri clienti. Ma ci vorranno due, tre anni perché si sviluppi un mercato di massa. L’Italia è all’avanguardia, dovremo lavorare per diffondere questo uso in tutti i mercati. Bisognerà mettere insieme banche, esercizi commerciali, operatori Tlc.

Il secondo trend?

L’Internet delle cose. Il dialogo machine to machine. Anche qui come Vodafone siamo molto avanti sia nelle applicazioni per le aziende sia in quelle per le PA. Ma le applicazioni saranno nei campi più disparati. Per esempio, le automobili con una sim a bordo potranno parlare con uno smartphone. Tutti i veicoli prodotti dal 2005 sono già predisposti per ospitare questa tecnologia. Ma ci vorrà ancora un po’ di tempo per svilupparla. Poi ci sarà molto da lavorare, e da innovare, sul Mobile Health e soprattutto sulla targetizzazione della pubblicità e dell’informazione. Davvero potremo arrivare a dare a ciascuno ciò che gli interessa e di cui ha bisogno in quel momento.

Come valuta la situazione italiana?

In questo momento il mercato italiano è all’avanguardia se si guarda dal lato dei consumatori. Quello che manca è l’altra parte del tubo: idee ce ne sono tante ma non è facile trasformarle in imprese capaci di stare sul mercato. È proprio quello che vogliamo fare con xone.

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