LA NUOVA SEGRETERIA PD

Matteo Renzi si tiene l’Agenda digitale

A quanto risulta al Corriere delle Comunicazioni il nuovo segretario del Pd sarebbe intenzionato a tenere per sé le competenze sul tema all’interno della segreteria

Pubblicato il 10 Dic 2013

Federica Meta

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La segreteria è fatta, ma per quanto riguarda le competenze sul digitale, Matteo Renzi non ha ancora deciso. Ma, a quanto risulta al Corriere delle Comunicazioni, il nuovo segretario del Pd potrebbe essere intenzionato a tenere quel settore nelle proprie mani insieme a quello della cultura.

D’altronde il tema dell’Agenda digitale è particolarmente caro a Renzi tanto da averne fatto uno dei pilastri del suo programma e da citarla nel discorso della vittoria come strumento da sostenere per rilanciare occupazione e competitività.

Per Renzi “la rivoluzione digitale e l’accessibilità alla rete possono essere una parte della soluzione, solo a condizione di modificare la mentalità dei dirigenti pubblici”. Come spiega nel suo programma “mettere online tutte le spese dello Stato e di tutte le amministrazioni locali consente un controllo costante dell’opinione pubblica. Per essere credibili, però, dobbiamo iniziare da noi stessi. Dai nostri comuni, dalle nostre amministrazioni. Inseguire la semplicità significa che il Pd proporrà progetti di riforma sul fisco, sulla giustizia e sulla pubblica amministrazione, discussi in tempi certi con i circoli, con gli amministratori, con i parlamentari e aperti alla discussione tramite vecchi canali e nuove tecnologie”.

Si tratta di azioni che non solo consentirebbe allo Stato di rispettare i tempi delle persone – per esempio non chiedendo più di produrre un documento di cui sia in possesso un’altra amministrazione pubblica – ma soprattutto di facilitare gli investimenti stranieri in Italia. “Oggi la confusione normativa, burocratica, fiscale e i ritardi biblici della giustizia costituiscono il primo ostacolo a investimenti stranieri e quindi alla creazione di nuovi posti di lavoro – evidenzia Renzi – In un mondo globale, il problema non è se l’imprenditore è italiano o straniero, ma se crea valore alle aziende oppure no, se crea posti di lavoro oppure no. L’italianità da difendere non è il passaporto dell’azionista, ma la qualità dei prodotti, l’investimento e l’occupazione”

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