IL CASO

Web Tax, è caos: politica e industria si spaccano

Mentre Rodolfo De Laurentiis (Confindustria Radio e Tv) parla di “Italia apripista in Europa”, i deputati Pd Bonaccorsi e Coppola firmano un Odg chiedendo di congelare gli effetti del provvedimento. Roberto Scano (Iwa Italy): “Fermare tutto e dare ossigeno ai cervelli, per ragionare meglio”

Pubblicato il 27 Dic 2013

Antonello Salerno

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Appena entrata in vigore, la strada della WebTax è già in salita. Tanto che un ordine del giorno alla legge di stabilità, approvato con parere favorevole del Governo, ne chiede la sospensione in attesa che si possano riconsiderare meglio le norme per essere sicuri che non frenino lo sviluppo digitale del Paese. Tra i firmatari del provvedimento ci sono Lorenza Bonaccorsi e Paolo Coppola, deputtati Pd, preoccupati che la nuova norma “procuri un danno anche solo indiretto allo sviluppo dell’economia digitale nel nostro Paese”.

Una posizione arrivata solo poche ore dopo il commento positivo del presidente di Confindustria Radio e Televisioni, Rodolfo De Laurentiis, soddisfatto perché “l’Italia sta facendo da apripista in Europa”.”L’equità fiscale e la parità delle condizioni concorrenziali sono alla base dei trattati – aveva detto – La presidenza di turno italiana nel prossimo semestre europeo fornisce il contesto giusto per i necessari approfondimenti e raccordi con la normativa comunitaria”.

“Molti esperti hanno già fatto notare le incongruenze di una norma procreata male e nata peggio, in particolare per l’assurda imposizione di applicazione a qualsiasi contenuto sia visualizzabile sul Web in Italia, rendendo quindi impositivo l’obbligo di acquistare pubblicità da società dotate di partita iva italiana anche da parte di società straniere che vogliono promozionare attività nel loro territorio e comunque senza specifico target italiano”, afferma Roberto Scano, presidente di Iwa Italy, che chiede l’intervento del Governo, chiedendo l’inserimento “in un prossimo decreto legge la sospensione della Web Tax semplicemente modificando il comma di legge aggiungendo le parole ‘dal 1 gennaio 2015’, dando così ossigeno ai cervelli per ragionare meglio sul tema. Si tratta di un’azione da fare subito, adesso, senza se e senza ma – conclude Scano – proprio per garantire innanzitutto la continuità operativa delle aziende italiane che operano quotidianamente nel Web e che tramite Web ottengono visibilità e possono reggere la competitività all’estero, e dall’altra per non bloccare l’attività amministrativa”.

La web tax è diventata legge il 23 dicembre, all’interno della legge di stabilità che ha ottenuto la fiducia del Senato con 167 voti favorevoli e 110 contrari su un totale di 277 votanti. La nuova normativa prevede la necessità di acquistare servizi di pubblicità, link sponsorizzati online e spazi pubblicitari visualizzabili sul territorio italiano solo da soggetti titolari di partita Iva italiana. Inoltre, alle aziende che fanno raccolta pubblicitaria sul web, prescrive un diverso indicatore dei profitti rispetto a quello attuale che fa riferimento ai costi sostenuti per l’attività.

La norma – di fatto un emendamento alla legge di stabilità che raccoglie i contenuti della proposta di legge presentata lo scorso ottobre dal parlamentare Pd Francesco Boccia – comportava inizialmente una serie di interventi normativi ai fini Iva e delle imposte dirette per tassare in Italia i proventi derivanti dal commercio elettronico diretto e indiretto, ma ha subito suscitato critiche anche all’interno dello stesso Pd. Di fatto l’emendamento, accantonato in Commissione Bilancio del Senato, è stato ripresentato agli inizi di dicembre alla Camera con la firma di firma di Edoardo Fanucci (Pd) , Sergio Boccadutri (Sel), Ernesto Carbone (Pd), Antonio Castricone (Pd) e Stefania Covello (Pd). La scorsa settimana la commissione Bilancio della Camera ha riscritto l’emendamento in una versione sostanzialmente “dimezzata” che è quella approvata oggi in via definitiva: dal testo è scomparso l’obbligo di aprire partita Iva in Italia per tutti i soggetti che effettuano il servizio di commercio elettronico diretto o indiretto, mentre è rimasto in piedi l’obbligo di partita Iva italiana per chi vende pubblicità online in Italia.

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