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Web reputation, l’Italia arranca

Solo una piattaforma su tre ha i requisiti di “scientificità”: è quanto emerge dalla ricerca realizzata dal Comunicatore Italiano in collaborazione con il Corriere delle Comunicazioni, per mappare gli strumenti a disposizione nel nostro Paese e soprattutto i risultati in termini di affidabilità

Pubblicato il 07 Apr 2014

Luciana Maci

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Solo una piattaforma di web reputation su tre, tra quelle utilizzate in Italia, presenta i necessari criteri di “scientificità” nelle modalità di rilevazione dei dati: è la conclusione che si può trarre dalla “pagella” delle piattaforme di web reputation internazionali usate nel nostro Paese, la prima in Europa per numero delle organizzazioni analizzate, ben 124, durata del test (3 mesi) e metodica usata. Realizzata da un’associazione professionale indipendente, Il Comunicatore Italiano, fa emergere un altro dato rilevante: nessuna delle top seven è italiana.

Scopo della ricerca, realizzata in collaborazione con il Corriere delle Comunicazioni, è appunto dare il voto a quelle piattaforme usate dalle aziende per verificare la loro presenza e visibilità in Rete, con il fine ultimo di aumentare la redditività attraverso attività di marketing mirate. La classifica è stata elaborata in base a un test effettuato dal think tank di comunicatori guidato da Pier Domenico Garrone: le 124 piattaforme sono state utilizzate dal 20 gennaio al 20 marzo 2014 con l’obiettivo di identificare le caratteristiche omogenee confrontabili, sperimentare l’elaborazione e l’estrazione del dato, produrre test in campo e suddividerle in 4 classi. Particolarmente importante la metodica utilizzata: “Le attività testate sul Mercato Italia – spiega Pier Domenico Garrone – sono state parametrizzate su una rilevazione di almeno l’85% del traffico generato dalle fonti 1.0 e 2.0 pubbliche, che sono in tutto circa 83mila e comprendono blog, forum, chat e altri luoghi virtuali. È una metodica di estrazione del dato definita da Il Comunicatore Italiano e consegnata dal professor Michelangelo Tagliaferri al presidente di Agcom Angelo Marcello Cardani il 21 giugno 2013”.

Proprio l’utilizzo di questo metodo ha fatto da spartiacque tra le piattaforme che non arrivano a monitorare l’85% del traffico in Rete e quelle che invece raggiungono o superano questa quota. Risultato: hanno superato la prova in 42, le restanti 82 non ce l’hanno fatta.

Nella top seven al primo posto spicca Adobe Social, che è in 17 lingue tra cui cinese, giapponese, arabo, russo, monitora tutti i principali social network e ha 100 metriche di engagement. La medaglia d’argento va a Linkfluence, in 55 lingue tra cui cinese e giapponese. Tra le sue funzioni c’è l’individuazione degli influencer, la segnalazione delle conversazioni più interessanti e la possibilità di interfaccia personalizzata.

Terzo posto a Synthesio (50 lingue tra cui cinese, arabo, hindi, russo), che effettua l’alerting via mail, Rss, iPhone, Blackberry e ha funzionalità di individuazione del sentiment e dei temi “caldi”.

Subito dopo il podio c’è Ebiquity: è in tutte le lingue, analizza tutti i Social Network ma, a detta dei ricercatori, ha un’interfaccia grafica carente.Quinto posto per Vico, che opera in 40 lingue tra cui cinese, giapponese, arabo, russo, seguito da Engagor: è in tutte le lingue con traduzione in inglese, copre i principali social network e garantisce l’alerting via mail. Chiude l’elenco dei magnifici 7 Salesforce Marketing Cloud (Radian6), che vanta un’interfaccia “user friendly”, numerose metriche di engagement ma non garantisce l’alerting in “real time”.

“Con l’avvento dell’economia digitale – spiega Pier Domenico Garrone – si è verificata una rivoluzione nel modello di business dell’editoria. Prima ci si affidava al numero di copie vendute o allo share per valutare il successo di un prodotto editoriale su carta o in video, oggi è diventata centrale la misurazione dell’indice di attenzione in Rete. Per questo è importante che sia rilevato secondo criteri oggettivi, credibili e verificabili”.

Ma per l’ideatore de Il Comunicatore Italiano “il mercato della web reputation in Italia è purtroppo ancora intossicato da ex produttori di rassegne stampa o venditori di slide che non denunciano né le metodiche utilizzate né le modalità di estrazione del dato. Invece in questo campo la serietà e la scientificità sono cruciali, perché la divisione marketing di un’azienda editoriale prende decisioni importanti proprio sulla base di questi dati. E, se sono sbagliati, rischia di sprecare risorse”.

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