Ibm paga 1,5 miliardi per cedere la produzione dei chip a GlobalFoundries

Dopo lunghe trattative Big Blue cede per 1,5 miliardi di dollari a GlobalFoundries, che entra in possesso anche di un ricco portafoglio di proprietà intellettuale mentre Ibm resterà attiva nella ricerca e sviluppo dei chip

Pubblicato il 20 Ott 2014

Patrizia Licata

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Dopo i computer e i server, Ibm cede un altro ramo d’azienda. Questa volta si tratta della produzione di chip che Big Blue ha venduto, secondo le anticipazioni della stampa americana, a GlobalFoundries, produttore di processori di proprietà di un fondo sovrano di Abu Dhabi, pagando 1,5 miliardi di dollari. L’attività di chipmaking era in perdita e Ibm avrebbe dovuto investire molto di più per aggiornare la tecnologia di produzione.

Da mesi Ibm cercava un compratore per il suo business dei chip, ma poche società si sono fatte avanti, proprio per i costi di aggiornamento delle attrezzature e dei processi di produzione richiesto dalle nuove generazioni di chip.

GlobalFoundries è il secondo maggior player nell’attività di fonderia dei chip dopo la taiwanese Tsmc e produce chip per altre aziende. Si è formata come spin-off della divisione produttiva di Amd nel 2009 e si è allargata nel 2010 con l’acquisto di Chartered Semiconductor.

Le trattative con GlobalFoundries sono state lunghe e si sono scontrate negli ultimi mesi con la difficoltà di accordarsi sul prezzo che Ibm doveva pagare per permettere a GlobalFoundries di rilevare la divisione chip. Ibm era disposta a dare 1 miliardo di dollari ma GlobalFoundries ne chiedeva due. Inoltre, non c’era intesa su chi dovesse mantenere la proprietà intellettuale e la ricerca collegate con il business dei processori.

Ibm ha infatti cercato di mantenere il controllo della progettazione dei chip, pur disfacendosi dell’attività di produzione, che richiede grandi investimenti di capitali. GlobalFoundries era inizialmente più interessata proprio ad acquisire i rami ad alto valore della ricerca e progettazione e della proprietà intellettuale rispetto agli stabilimenti di produzione.

L’accordo infine raggiunto con GlobalFoundries prevede che quest’ultima rilevi il principale stabilimento produttivo di Ibm a Fishkill, New York, e uno stabilimento più piccolo, nel Vermont, assumendone i circa 5.000 dipendenti. Le due partner hanno anche firmato un contratto di fornitura di 10 anni con cui GlobalFoundries diventa fornitore esclusivo di processori per server (22, 14 e 10 nanometri) per Ibm per il prossimo decennio. In cambio GlobalFoundries ha ottenuto di poter acquisire anche tutta la proprietà intellettuale della divisione Ibm Microelectronics. Così GlobalFoundries amplia le sue competenze e diventa proprietaria di uno dei più vasti portafogli di brevetti nel settore dei semiconduttori, mentre Ibm si garantisce i chip di cui ha bisogno per i suoi sistemi, come i computer mainframe e la tecnologia di analisi dei dati Watson.

Ibm non intende comunque dismettere del tutto le attività nei chip: continuerà ad essere attiva nella ricerca. A inizio anno Big Blue ha indicato che investirà 3 miliardi di dollari nella ricerca e progettazione dei chip per i prossimi cinque anni, rassicurando il mercato sul fatto che questo ramo d’azienda considerato da molti un’attività core sia ancora rilevante e oggi questo impegno è stato ribadito. “Ci concentreremo sulla ricerca e sviluppo dei futuri sistemi ottimizzati per cloud, mobile, big data analytics e transazioni sicure”, si legge in una nota del colosso It.

I chip di Ibm sono stati usati in passato nei personal computer, nelle consolle per giochi e altri device, ma il dominio di Intel sul mercato dei processori ha notevolmente ridotto il ruolo di Ibm. La produzione di componenti di microelettronica rappresenta meno del 2% del fatturato di Big Blue mentre la divisione chip perde ben 1,5 miliardi di dollari l’anno, secondo quanto riportato da Bloomberg.

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