INVESTIMENTI

Narduzzi: “La burocrazia uccide le startup”

In Italia troppi cavilli normativi frenano lo sviluppo delle imprese. E così gli imprenditori sono costretti ad andare all’estero, con effetti nefasti sulla crescita del Paese

Pubblicato il 03 Feb 2015

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Quarantadue mesi consecutivi di recessione, troppi ancora a chiedere più spesa o investimenti pubblici. Neppure la più profonda recessione di sempre ha saputo scuotere le coscienze della maggioranza degli italiani rese oppiacee da quella forma criminosa di cocaina sociale che è la spesa pubblica politico-sindacale. Nessuna spending review vera e la pressione fiscale, invece, schizzata verso nuovi record. Ovvio che l’occupazione giovanile sia crollata verso valori che, se qualcuno li avesse prospettati solo qualche anno fa, sarebbero stati considerati pazzeschi. Il 43,9% dei giovani tra i 15 ed i 24 anni in Italia, sulla carta ancora una economia del G7, sono non occupati. Chi rischia ed investe in questo contesto in cui è tutta una corsa a garantirsi vitalizi e stipendi pubblici? Chi può pensare, in questo clima, di fondare nuove startup, aziende ad elevata rischiosità perché con un alto tasso di mortalità? La mia esperienza personale mi ha insegnato che l’Italia non è un paese per startup. Qualche esempio: un giovane ingegnere mi racconta di aver fondato una startup innovativa e di aver ottenuto un finanziamento pubblico dalla sua regione, la Sardegna. Si è assunto nell’impresa da lui fondata ed ha avuto la malaugurata idea di nominarsi Ad della stessa. In fase di rendicontazione delle spese sostenute per ottenere il contributo pubblico ha scoperto che il suo costo del lavoro non era ammissibile perché anche amministratore. Bill Gates, per la nostra burocrazia, non poteva essere presidente di Microsoft e Steve Jobs amministratore di Apple.

Altro caso il bando startup di Invitalia. Qui alla startup veniva richiesto di produrre un business plan con livelli di dettaglio che neppure Goldman Sachs avrebbe mai richiesto. Non sia mai che la Corte dei Conti possa eccepire qualcosa in futuro, si sarà chiesto il burocrate di turno. Risultato: tempi biblici per valutare e deliberare le proposte, mesi e mesi persi con le carte che girano tra il Mise ed Invitalia a raccogliere firme e timbri vari mentre le opportunità di business vanno a farsi benedire. E ancora Sviluppo Lazio che esclude il conteggio degli apprendisti delle startup innovative tra i lavoratori a tempo indeterminato quando lo stesso legislatore ha riconosciuto il credito di imposta fiscale per le assunzioni di personale altamente qualificato con contratto di apprendistato solo per le startup. In Italia tutto rema contro le startup, per questo gli italiani bravi e capaci hanno deciso di andare a farle altrove: Londra, Berlino, Monaco o in California.

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