BUSINESS MODEL

Modello norvegese per fare emergere le startup

I paesi nordici si sono consorziati per dare gratis servizi a valore aggiunto alle aziende nascenti che vogliono sfidare la globalizzazione e localizzarsi in California

Pubblicato il 03 Apr 2015

Edoardo Narduzzi

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Ceno a Milano con un imprenditore seriale norvegese alla sua terza startup. Le prime due le ha vendute e con l’ultima ha trovato una soluzione geniale per rendere mobili i dati dei back end aziendali. Mi spiega che si è trasferito a Palo Alto per lanciare l’ultima creatura: “Il business vero non è in Europa ma in California. Devi stare in Silicon Valley per avere la giusta velocità di crociera”.

Nulla da obiettare ma poi scopro che tutti i servizi per aprire negli Usa gli sono stati offerti gratuitamente dal governo norvegese: avvocato, supporto fiscale, contabile, marketing ecc. I paesi nordici si sono consorziati per dare gratis servizi a valore aggiunto alle startup che vogliono sfidare la globalizzazione e localizzarsi in California.

Soldi pubblici sprecati? Manco per niente, perché una startup che decide di aprire in California accetta la sfida del mare aperto e della competizione. Se ciò che pensa di fare ha un qualche valore, quale posto migliore della Silicon Valley per testarlo? Eppoi il governo norvegese non getta nella fornace della spesa pubblica contributi a fondo perduto ma offre servizi reali: se li compri qualcosa di concreto devi farlo, altrimenti neppure vale la pena inventare funambolici business model che saranno rottamati dalla concretezza della Silicon Valley. La Norvegia è già anni luce lontana nelle modalità di supporto pubblico alle startup alla logica italica. Da noi è tutta una pioggia di contributi a fondo perduto elargiti dalla burocrazia. In quota parte, magari per le aree meno competitive come quelle del sud, possono anche avere senso, ma nel resto del paese servirebbe ben altra politica. La scelta migliore che il governo Renzi potrebbe fare è semplice: convertire il quantum impiegato come contributi a fondo perduto pro startup in defiscalizzazione delle stesse per i primi cinque anni di vita. Così le startup che fanno reddito vero potrebbero non pagare Ires e Irap ed aumentare la loro capacità di autofinanziamento del business. Meno imposte e meno burocrazia per far decollare un settore che ha iniziato a muovere i primi passi anche in Italia. Ma drogare il settore delle startup di troppi contributi a fondo peduto innesca una doppia perversione: assegna troppo potere discrezionale alla burocrazia che di startup non sa quasi nulla; alloca in modo sub-ottimale le già scarse risorse pubbliche.

Difficile pensare che si possa già fare come la Norvegia, ma creare una montagna di contributi a fondo perduto per aprire tante startup a Palermo o a Napoli non pare un’alternativa ideale.

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