Chip, la legge di Moore è morta? No, sta morendo il silicio

La regola per cui il numero di componenti di un circuito integrato raddoppierebbe ogni anno e mezzo potrebbe non essere più valida già nel 2020. Perché difficilmente, di qui a cinque anni, sorgerà una tecnologia in grado di garantire il risultato

Pubblicato il 17 Apr 2015

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Fra pochi giorni, il 19 aprile, compie cinquant’anni. In mezzo secolo ha cambiato il mondo, ha trasformato la società e ha pure rivitalizzato l’economia. La Legge di Moore – più che una legge, una profezia – è stata enunciata in un paper di tre pagine pubblicato nel 1965 da Gordon Moore, cofondatore della Intel: il numero dei componenti in un circuito integrato raddoppierà ogni anno e mezzo (poi aggiustato in “ogni due anni”).

La legge è risultata valida non solo per i microprocessori, ma anche per le capacità delle memorie o il numero di pixel di una macchina fotografica. Con una progressione esponenziale piuttosto regolare, ha reso possibile il personal computing e l’internet, Amazon e Wikipedia, l’iPhone e i Google Glass. Come risultato però, gli abitanti del pianeta si sono abituati a una crescente e costante digitalizzazione delle loro vite, quasi che il raddoppio ogni due anni fosse una cosa normale.

Una legge a metà. Al contrario della Legge di Gravità però, che è una legge per davvero, quella di Moore dovrebbe essere destinata ad arenarsi, per poi morire. Come ha detto più volte lo stesso Gordon Moore, nessuna crescita esponenziale, per definizione, può andare avanti per sempre. Data per spacciata più di una volta, la legge dei chip è stata regolarmente salvata da una catena ininterrotta di scoperte scientifiche e di soluzioni tecnologiche (i chip multicore, ad esempio), che l’hanno tenuta in vita fino a oggi.

Al momento attuale, la sua data di morte è fissata intorno al 2020, o giù di lì.

In una rapida discesa verso il basso, il processo per l’incisione del silicio – il quattordicesimo elemento della Tavola Periodica, che sta alla base di quasi tutti i chip – è passato dai 10 micron (milionesimi di metro) del 1971, ai 130 nanometri (miliardesimi di metro) del 2001. L’anno scorso eravamo a 22 nanometri, da pochi mesi siamo arrivati a 14. La tabella di marcia prevede di raggiungere i 10 nanometri l’anno prossimo, poi 7 nel 2018 e 5 nel 2020. Dopodiché, le vie del silicio si fermano: proseguendo nella miniaturizzazione, l’elettronica non funzionerebbe più. Lo impongono le leggi della fisica, ben più stringenti di quella di Moore.

Al che, sorge una domanda: è possibile che in soli cinque anni appaia una tecnologia capace di colmare il gap fra la fine corsa del silicio e l’alba di una nuova èra tecnologica, che perdipiù sia sempre meno costosa e vorace di energia, e sempre più potente e affidabile? Beh, c’è chi ci scommette: Ray Kurzweil, capo ingegnere di Google e anima della Singularity University, sostiene da tempo che il computing continuerà nella sua ascesa inarrestabile, superando le capacità di calcolo di una mente umana e poi di tutte le menti umane messe insieme: quel che lui chiama la «Singularity».

Copiare il cervello umano. Non sarebbe del tutto sorprendente. Per cominciare, si potrebbe prendere esempio dal circuito integrato più integrato che c’è: il cervello umano. Nonostante i neuroni agiscano in millisecondi, ovvero molto più lentamente di un transistor, la capacità del cervello di risolvere problemi simultaneamente, usando parti diverse e spesso lontane fra loro, è imbattuta. Un gruppo di ricercatori della Stanford University ha già creato Neurogrid, un sistema hardware-software che simula il cervello: usa contemporaneamente il calcolo analogico per simulare i canali ionici delle sinapsi e la comunicazione digitale per collegare le strutture neuronali. Il fatto interessante è che, nell’imitare un milione di neuroni e sei miliardi di sinapsi, usa appena 2 watt. Ma ne ha ancora, di strada da fare.

Il computer quantistico. Oppure c’è il computer quantistico, dove il qubit non assume solo due valori possibili – o uno, o zero – come il bit, ma anche la sovrapposizione di entrambi. La canadese D-Wave, dopo aver annunciato il sedicente “primo computer quantistico a 128 qubit” nel 2011, sta collaborando con Google e la Nasa a un computer a 512 qubit. Complice la cortina di segretezza dell’azienda, c’è chi dubita che si tratti di un vero computer quantistico capace di scalare esponenzialmente la capacità di calcolo. Comunque sia, è assai difficile che i telefoni del 2020 saranno governati dalle bizzarrìe della meccanica quantistica.

La carta del grafene. La soluzione più semplice potrebbe essere quella di cercare un sostituto al silicio. C’è chi scommette che toccherà al grafene, il foglio bidimensionale di soli atomi di carbonio, che ha uno straordinario ventaglio di proprietà, anche in termini di conduttività. Shou-En Zhu, un dottorando dell’Università di Delft, in Olanda, ha appena annunciato di aver trovato un modo di produrre il grafene a costi mille volte inferiori degli attuali.

Tuttavia, parliamoci chiaro, non sarebbe soprendente nemmeno il contrario. Ovvero che, fra cinque o sei anni, la Legge di Moore interrompa la sua corsa frenetica. Magari solo per qualche tempo.

Il silicio a fine corsa. Più che della Legge di Moore però, potrebbe essere soltanto la fine del silicio. Certo, Intel e Micron hanno appena annunciato di aver perfezionato la tecnologia 3D per le memorie Nand a stato solido, dove le celle vengono sovrapposte verticalmente: dicono di poter arrivare a immagazzinare 10 Terabyte, più che sufficienti per i laptop del futuro. Altre cento innovazioni di questa portata gli allungheranno senz’altro la vita, ma non di molto.

In una prospettiva futura, magari senza le iperboli di Kurzweil, non è solo auspicabile che la legge sulla crescita esponenziale della capacità di calcolo riprenda a correre: è anche probabile. Il volume della ricerca scientifica è talmente grande – e le ricadute economiche del dopo-silicio sono talmente enormi – che è assai difficile immaginare una battuta d’arresto troppo lunga.

In appena 50 anni, la Legge di Moore ha implicitamente cambiato il modo in cui gli esseri umani comunicano, lavorano, studiano, si divertono, comprano, vendono; ha trasformato l’economia, ha reso il mondo più piccolo, ha diffuso il pensiero, ha liberato la parola, ha democratizzato le arti, ha moltiplicato le informazioni. Le auguriamo buon compleanno. Anzi, altri cento di questi giorni.

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