LA SOLUZIONE

Synergy, l’architettura componibile di HPE ai nastri di partenza

Via ai test di produzione, entro fine anno il roll out commerciale mentre la piattaforma continua a essere sviluppata in collaborazione con partner e clienti. Tognon: “Sarà un’infrastruttura ultra-flessibile e si potrà controllare come un codice”

Pubblicato il 05 Ott 2016

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Era stato annunciato all’HPE Discovery di Londra, lo scorso dicembre. E ieri, dopo dieci mesi di ulteriore gestazione, il progetto Synergy è stato ufficialmente presentato al mercato tricolore, dove il roll out commerciale dovrebbe prendere il via entro la fine del 2016. In settimana partirà il primo test di produzione, mentre in tutto il mondo un centinaio di aziende (una di queste, l’unica italiana, è Fastweb) sta mettendo alla prova altrettanti prototipi della nuova infrastruttura per continuare a svilupparla con l’apporto di tutti i partner coinvolti nell’operazione. In sinergia, per l’appunto, come suggerisce il nome del prodotto. Una piattaforma a cui il colosso guidato da Meg Whitman ha destinato due terzi degli investimenti di HPE Lab e che, ancor più che una tecnologia, rappresenta per Stefano Venturi, Corporate Vice President e Amministratore Delegato Hewlett Packard Enterprise Italia, “un viaggio evolutivo, da intraprendere con system integrator e clienti. È una trasformazione che porterà a un IT più veloce, ibrido, capace di orchestrare risorse interne ed esterne e che permetterà alle grandi organizzazioni di essere più flessibili ed efficienti”, ha detto il manager durante l’evento dedicato a Synergy che si è tenuto ieri sera a Milano. “Ma rappresenta una sfida anche per noi”, ha aggiunto. “Ogni volta che si verifica un’importante salto evolutivo, vince chi è focalizzato, non chi cerca di fare tutto. Per questo HPE si sta preparando per essere un’entità leggera, veloce, capace di adattarsi al cambiamento o addirittura di anticiparlo”.

Fabio Tognon, Country Manager Server Division Italia di HPE, ha ribadito quella che secondo lui costituisce l’unicità della soluzione Synergy in termini di infrastruttura componibile, facendole travalicare il concetto di hyper convergence. “Sono tre gli elementi che la rendono il primo vero esemplare della sua specie: un pool di risorse fluido, con una separazione tra networking e capacità computazionali, una software defined intelligence, che abilita funzionalità più ampie rispetto alla generazione precedente di macchine e le unified API, che garantiscono massima flessibilità e compatibilità con altre architetture. Di fatto, parliamo di un’infrastruttura che può essere controllata come un codice”. Con in più, ha aggiunto Peter Groth, WW Director, HPE Synergy & HPE One View, la possibilità di farlo senza dover usare un manuale di istruzioni. “Abbiamo voluto creare un’esperienza intuitiva come quella offerta dai distributori automatici: gli utenti non devono fare altro che accedere all’interfaccia e assegnare alle macchine i carichi di lavoro, che vengono gestiti dal sistema con la stessa flessibilità di cui godrebbe l’organizzazione se il data center fosse connesso a un Public Cloud”. Groth ha poi snocciolato alcune delle performance registrate nei test condotti finora da HPE su Synergy: se l’aggiunta di una nuova infrastruttura richiede il 96% di tempo in meno rispetto a soluzioni tradizionali, il sistema offre un incremento dell’efficienza operazionale, nell’ordine del 40%, generando anche un aumento del 15% della produttività dei collaboratori”.

Sul palco si sono infine alternati alcuni rappresentanti dei partner strategici di HPE, da Microsoft a VMWare passando per Docker e Chef, fino a Intel. Quello che è passato è un messaggio di sostanziale convergenza, ben definito dalle parole di Carmine Stragapede, numero uno in Italia della multinazionale specializzata in chipset. “Anche noi ci stiamo trasformando. Ci troviamo in mezzo a un vortice che ci porta a guardare in che modo è necessario cambiare prodotti e modelli di business per rispondere alle esigenze del mercato. Rispetto al quale, però, il data center continua a rimanere centrale. Per questo il primo impegno rimane quello di migliorare tutto il back-end sia nel computing che nel networking e nello storage. Ma qualunque sia l’esito della trasformazione, dovrà avvenire sempre nella logica dell’open industry: non si può più fare nulla da soli. Bisogna da una parte focalizzarsi su ciò che si sa fare bene, dall’altra è necessario creare le partnership giuste per essere rapidi nel fornire supporto al sistema”.

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