Svolta “datification”: così i big data fanno cassa sulla privacy

Nel capitalismo dei dati la privacy non è necessariamente distrutta, dicono gli esperti: ridando agli utenti il controllo sulle info si realizzerà un mondo più smart, senza rinunciare ai diritti fondamentali

Pubblicato il 11 Gen 2017

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La rivoluzione big data, che qualcuno ha già ribattezzato il capitalismo dei dati, non solo è già qui, ma evolve a ritmi velocissimi. Siamo immersi in un’economia che si basa sullo scambio di dati tramite Internet e di cui l’avvento della Internet of Things, l’insieme sempre più numeroso di oggetti di uso quotidiano, dall’automobile allo spazzolino da denti, connessi alla rete e capaci di inviare e ricevere informazioni, è solo uno degli aspetti. Il prossimo passo saranno le applicazioni non più solo consumer ma per il mondo business e la produttività, con un impatto quantificabile sugli indicatori economici, come ha scritto sul Wall Street Journal John Fernald, senior research advisor della Federal Reserve Bank di San Francisco.

Intanto il mondo è già alle prese con la proliferazione di cose connesse: Gartner stima che 5,5 milioni di connected devices sono stati online ogni giorno nel 2016; diventeranno il triplo (20,8 miliardi) nel 2020. Stando a calcoli effettuati da Ibm, nel mondo vengono già generati 2,5 quintilioni di byte di dati ogni giorno, il che significa che circa il 90% di tutti i dati nel mondo è stato creato negli ultimi due anni.

L’industria della pubblicità già vive pienamente gli effetti della data revolution. Facebook e Google, sottolinea il Financial Times in un recente commento, hanno attratto 85 centesimi per ogni nuovo dollaro investito in digital advertising negli Stati Uniti nel primo trimestre 2016. L’eccezionale capacità dei due giganti del web di catturare investimenti pubblicitari è legata al tesoro di dati che possiedono e che permette loro di conoscere a fondo i loro utenti e di proporre categorie e profili dettagliati agli inserzionisti per ads sempre più mirate.

La datification, col contributo dell’intelligenza artificiale, tocca anche altri settori, dalla sanità al trasporto all’energia, e ciò permette un’efficienza senza precedenti ma apre anche nuovi interrogativi su questioni come il riconoscimento e la protezione dell’identità online, la sicurezza e la privacy.

Nigel Shadbolt, co-fondatore dell’Open Data Institute, ha affermato in un recente podcast per il Financial Times che è ancora presto per decretare la morte della privacy in nome del capitalismo dei dati. L’esperto ammette che esistono “asimmetrie” tra gli individui che generano i dati e i colossi aziendali che li possiedono e sfruttano, ma la tecnologia che erode la privacy può anche contribuire a rafforzarla.

La prossima rivoluzione, dunque, sostiene Shadbolt, sarà restituire il controllo ai consumatori. Considerando che gli smartphone hanno sempre maggiore capacità computazionale e di memoria, secondo l’esperto potrebbero emergere e affermarsi nuovi modelli di data collection e un utilizzo dei dati più “locale”. Un esempio? Il servizio Blue Button usato dai veterani dell’esercito degli Stati Uniti: permette loro di conservare e aggiornare le cartelle con i dati medici. “Credo sia un’applicazione dalla portata rivoluzionaria; vedremo presto più esempi di come i dati ridanno potere alle persone”, ha detto Shadbolt. Per un mondo intelligente ma che non calpesta diritti consolidati.

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