COPYRIGHT

Telespettatori “pirata” di Sky? Ora si rischia il carcere

La cassazione respinge il ricorso di un utente, condannato a 4 mesi di reclusione e 2mila euro di multa per aver violato la legge sul diritto d’autore e aver guardato la Pay Tv senza regolare abbonamento, grazie al “card sharing”

Pubblicato il 11 Ott 2017

A.S.

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Guardare una Pay Tv grazie a un abbonamento pirata può diventare penalmente pericoloso anche per l’utente finale. Se fino a oggi infatti a pagare erano soprattutto le organizzazioni criminali che mettevano a disposizione, a un prezzo ridotto, i codici contraffatti, è di queste ore la sentenza della Corte di cassazione che ha confermato la condanna proprio a un utente finale: 4 mesi di reclusione e 2mila euro di multa.

Il tribunale, nel caso specifico, ha respinto il ricorso di un consumatore palermitano di 52 anni che si era servito del cosiddetto “card sharing” per accedere ai contenuti di Sky, definendolo “inammissibile”. La Cassazione ha specificato nel suo pronunciamento che il card sharing era stato depenalizzato nel 2000 ma ha poi ripreso rilevanza penale nel 2003, tornando a essere un reato in seguito a un decreto legislativo. Così rimane in vigore per il ricorrente la condanna per “aver installato un apparecchio con decoder regolarmente alimentato alla rete Lan domestica ed internet collegato con apparato Tv e connessione all’impianto satellitare così rendendo visibili i canali televisivi del gruppo Sky Italia in assenza della relativa smart card”.

L’imputato aveva provato a difendersi dicendo di aver comprato i codici di decodifica dei programmi sul web, fatto che però secondo la cassazione evidenzierebbe “la finalità fraudolenta del mancato pagamento del canone” Sky. Il reato, secondo quanto evidenziato dalla Cassazione, consiste nella violazione della legge sul diritto d’autore del 1941 – art. 171 octies l.633/1941, che sanziona “chiunque a fini fraudolenti produce, pone in vendita, importa, promuove, installa, modifica, utilizza per uso pubblico e privato apparati o parti di apparati atti alla decodificazione di trasmissioni audiovisive ad accesso condizionato effettuate via etere, via satellite, via cavo, in forma sia analogica sia digitale”.

Nel caso specifico, sottolinea la Cassazione, “la condotta incriminata è pacificamente consistita nella decodificazione ad uso privato di programmi televisivi ad accesso condizionato, e dunque protetto, eludendo le misure tecnologiche destinate ad impedire l’accesso poste in essere da parte dell’emittente, senza che assumano rilievo le concrete modalità con cui l’elusione venga attuata, evidenziandone la finalità fraudolenta nel mancato pagamento del canone applicato agli utenti per l’accesso ai suddetti programmi”

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