Frequenze digitali si affaccia l’ipotesi trading

Braccio di ferro fra emittenti locali, governo e Agcom sul piano di riordino dello spettro radio. In vista del Consiglio dell’Authority del 3 giugno si fanno largo ipotesi per risolvere l’enigma italiano

Pubblicato il 28 Mag 2010

Monoscopi che si ripetono, canali senza programmi, il tasto del
telecomando che scorre a vuoto. E’ la storia di questi mesi di
molte tv locali, catapultate nella grande prateria della
piattaforma digitale ma senza risorse adeguate per utilizzarla. Non
va bene. E che non vada bene cominciano a dirlo anche ai “piani
alti”: a cominciare dal vice ministro alle Comunicazioni, Paolo
Romani. “Le frequenze sono un bene di tutti – ha detto al forum
di Aeranti-Corallo -. Inammissibile sfruttarle solo al 40, 50 o
60%”. La pensa così anche il commissario Nicola D’Angelo di
Agcom (“Non è giusto questo spreco di risorse”) e il
presidente di Dgtvi, Andrea Ambrogetti (“Liberate quelle
inutilizzate”).

Ma intanto le tv locali protestano. Il digitale terrestre rischia
di strangolarci, dicono, mandando sulla strada centinaia di
dipendenti. Non ci sono soldi per investire in nuovi programmi, ma
sulle frequenze – “il nostro asset” dicono – non demordono. E
chiedono a gran voce che il nuovo Piano frequenze Agcom venga
modificato. In effetti hanno già incassato il rinvio al 3 giugno
del Consiglio Agcom che dovrebbe discuterlo e approvarlo. Maurizio
Giunco, presidente Frt e Marco Rossignoli coordinatore
Aeranti-Corallo: “Il Piano discrimina le tv locali riservando
loro le frequenze peggiori”. Così com’è stato elaborato dai
consulenti dell’Authority, dicono, colpirebbe al cuore il sistema
delle tv locali. Perché è “troppo ingegneristico” e tenta di
far quadrare i conti italiani con le richieste dell’Unione
europea: una fetta dello spettro deve essere destinata a un
utilizzo “ibrido”: non solo tv, ma anche comunicazioni
wireless. In altre parole quella banda larga mobile per costruire
la quale in Germania, per esempio, gli operatori hanno pagato allo
Stato (che ha venduto all’asta le frequenze) 3 miliardi e mezzo
di euro. Ma in Italia, caso unico nel mondo occidentale, ci sono
580 emittenti locali: ognuna di loro con un “asset”, le
frequenze, da difendere.

Qualche soluzione comincia ad affacciarsi. E la parola chiave
sembra “cessione”. Il trading è un’operazione ammessa
dalla  regolamentazione. Ma c'è anche un’analisi del
Poltecnico di Torino, scrive oggi la Repubblica, che suggerisce ad
Agcom di vendere all’asta ai carrier le frequenze destinate alle
tv locali: gli operatori darebbero poi in uso parte delle frequenze
alle locali sia pure in modo provvisorio. Soluzione che fa eco alla
proposta lanciata da Nicola D’Angelo: la strada, secondo il
commissario Agcom, è quella di cedere la capacità trasmissiva
eccedente. Il 2015 è vicino, dice D’Angelo, e per quella data
anche l’Italia verrà chiamata dalla Ue a fare un utilizzo
promiscuo delle frequenze in banda 800 Mhz: non solo tv, ma anche
Lte. La neutralità tecnologica deve investire anche lo spettro
“televisivo”. E allora perché non cavalcare quella data come
una chance? Per sopravvivere e rilanciare le emittenti locali
devono fare sistema: consorziarsi (in condomini di mux) e
introdurre elementi orientati a questa possibilità. Ma ce la
faranno le locali a mettersi d’accordo ora, dopo non esserne
state capaci fin qui?

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