Tv digitale, e la Ue sta a guardare

Pubblicato il 20 Apr 2009

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Sospesa. La procedura d’infrazione aperta dall’Unione europea
contro l’Italia sulla legge Gasparri per il momento è in
standby. Grazie alle nuove regole per il passaggio al digitale
terrestre indicate nella delibera Agcom approvata a maggioranza –
contrari i consiglieri Nicola D’Angelo e Sebastiano Sortino –
Bruxelles ha deciso di sospendere il procedimento. Lo chiuderà
definitivamente se verrà data piena esecuzione all’intesa
concretizzata dalla delibera. E se verrà conclusa la procedura di
gara entro la fine dell’anno.

Si profila comunque piena di ombre e interrogativi la delibera che
scatta la nuova fotografia delle emittenti a transizione avvenuta.
Con lo switch off gli incumbent Rai e Mediaset perderanno un
multiplex per lasciar posto ai nuovi entranti e verranno liberate 5
nuove reti digitali da mettere a gara (quella gara che, secondo la
Ue, dev’essere fatta entro la fine del 2009): 3 saranno riservate
ai nuovi entranti, 2 a qualunque soggetto operante nello spazio
economico europeo e che abbia meno di 5 multiplex.

Se uno degli operatori – stabilisce la delibera – che attualmente
gestisce 3 reti nazionali analogiche risulti, in esito alla gara,
aggiudicatario di un multiplex, dovrà cedere il 40% della
capacità trasmissiva di tale multiplex a terzi fornitori di
contenuti indipendenti (l’obbligo di cessione del 40% si applica
dal momento dell’assegnazione del multiplex e resterà in vigore
per cinque anni dopo lo switch-off).

Secondo il presidente di Agcom Corrado Calabrò il risultato
raggiunto avvia “un percorso di definitiva sistemazione delle
radiofrequenze televisive in Italia. Le risorse trasmissive sono un
bene pubblico destinato a soddisfare l’interesse della
collettività. In questi anni – ha detto – è sempre stata
auspicata una definizione di regole che garantissero la certezza
del diritto e il rispetto dei principi costituzionali e comunitari
nell’interesse del pluralismo e della concorrenza. Il percorso
avviato va in questa direzione. I successivi atti che adotteremo
serviranno a completare quella che mi auguro sia la cornice
giuridica di riferimento per il futuro sistema televisivo italiano
con una regolamentazione ben diversa dalla connotazione incerta che
essa aveva assunto in passato”.

Anche il sottosegretario alle Comunicazioni, Paolo Romani, parla di
“primo passo formale di un percorso intrapreso in piena sintonia
con la Commissione Ue dopo mesi di intenso e costruttivo
confronto”. Secondo Romani si tratta di un risultato “che
contribuisce alla definizione delle regole per un rapido passaggio
alla tecnologia digitale, in piena coerenza con il diritto
comunitario”. Giudizio positivo anche da Mediaset: “Finalmente
si vede la luce nella ormai annosa vicenda della procedura europea
sulle frequenze tv: si sono poste le premesse per la fine della
incertezza di prospettive cui le imprese tv sono state consegnate
da anni”.

Ma non tutti sono così entusiasti. Secondo l’ex ministro alle
Comunicazioni Paolo Gentiloni, oggi responsabile dell’area
comunicazione del Pd, la gara per l’assegnazione delle cinque
reti nazionali che si renderanno disponibili rischia di essere
un’occasione persa se i principi decisi dall’Agcom non
venissero resi coerenti con l’obiettivo di aprire il mercato e di
adeguare l’Italia alla normativa comunitaria. “Sarebbe grave
perdere questa occasione – ha detto  Gentiloni – sia con artifici
tecnici (Dvb-H) per giustificare l’assegnazione di due multiplex
oltre i cinque a Rai e Mediaset. Sia riducendo la gara stessa a un
semplice beauty contest, assegnando un bene pubblico come i
multiplex gratuitamente e con decisione presa da un governo in
evidente conflitto di interessi”.

Gli artifici tecnici di cui parla Gentiloni fanno riferimento alle
tre reti Dvb-h, in possesso di H3G, Mediaset (che trasmette
contenuti Tim e Vodafone) e Rai, che la delibera, almeno in questa
prima versione, non “conteggia” nel calcolo dei multiplex dal
momento che parla soltanto di Dvb-T. E ci sono rischi in vista
anche secondo il senatore Pd Vincenzo Vita, vicepresidente della
commissione Cultura del Senato: “Si profila una Mammì bis” ha
detto.

Ma il vuoto più macroscopico, evidenziato dal senatore Vita,
riguarda l’assenza di tracce, nella delibera Agcom, di ipotesi
per una destinazione del dividendo digitale diversa da usi
televisivi, per esempio comunicazioni wireless. “Le premesse non
sono buone – ha detto – e l’aggravante è che si tratta
dell’ultimo treno per il passaggio al digitale”. Che fine hanno
fatto le raccomandazioni del commissario Ue Viviane Reding
sull’utilizzo del dividendo digitale, quel “tesoretto” di
frequenze che potrebbe arricchire non solo le casse degli Stati
(come infatti già succede nel resto dell’Europa e negli Usa), ma
anche avvantaggiare la competitività e la produttività del Paese?
Di pochi giorni fa la nota di Reding in cui ribadisce che il
dividendo rappresenta una “risorsa notevole, specialmente in
tempi di crisi economica, grazie alla spinta che può dare ai
servizi broadband wireless e alle strategie di banda larga per
tutti”.

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