Fox Tv contro le affiliate. In crisi il gioiello di Murdoch?

News Corp minaccia di spazzar via 27 emittenti del circuito Fox se non cederanno alla richiesta di aumento della percentuale sui ricavi. Ma secondo gli osservatori la mossa nasconde la difficoltà economica in cui versa il broadcaster

Pubblicato il 22 Feb 2011

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Murdoch contro tutti. Dopo aver sbranato la rete Cablevision in
ottobre scorso, il colosso News Corporation rivolge le fauci contro
se stesso. Ma sarà una strategia efficace?

Come ha riportato il LA Times, le 27 affiliate della Fox Television
Station Group, gruppo di stazioni televisive controllate dalla
holding News Corp., sono state “strangolate” dalla
società-madre che ha chiesto che le venga riservata una grossa
percentuale sui ricavi provenienti dai contratti con i local cable
operators per la trasmissione della programmazione Fox. E ha
minacciato di sostituire con nuove emittenti le affiliate
recalcitranti, se queste non cederanno presto.

Questa crisi apparentemente interna al gruppo, in realtà,
coinvolge numerosi soggetti e soprattutto crea gravi disagi ai
clienti delle pay-tv, che nell’attesa del rinnovo del contratto
di licenza subiscono un imbarazzante blocco del normale palinsesto.
Le affiliate, infatti, sono concepite per mandare in onda
esclusivamente i programmi del broadcast network di cui fanno parte
(ABC, NBC, FOX e così via) 24 ore su 24, come accadeva in Italia
sulle reti commerciali Fininvest nei primi anni ’80, e per
promuoverli stipulano accordi di retrasmission con reti televisive
locali (i local cable operators, per l’appunto). Simul stabunt,
simul cadent.

La spendibilità del brand Fox è indubbia. Solo in Italia Fox
Channel ha registrato nel 2010 uno share del 2,6 e risulta il terzo
canale per tempo medio di visione (dopo Canale5 e Rai uno). Negli
Stati Uniti detiene anche gran parte dei diritti sullo sport e un
notiziario che ha fatto più volte infuriare President Obama per la
“faziosità” dei servizi, seguito dal 25% degli americani.

Questo attacco alle proprie controllate è perciò particolarmente
sospetto. Già nel 2010 il gruppo Fox ha rivisto il contratto di
cinque reti e imposto, utilizzando l’arma del blackout, un
pesante rincaro dei tassi di re-trasmissione, di cui il caso più
eclatante è stato il braccio di ferro in ottobre con Cablevision.
In quella occasione più di 3,5 milioni di cittadini tra New York,
New Jersey e Connecticut contemplarono il vuoto nei loro
televisori; e Cablevision, che già pagava 70 milioni di dollari
l’anno, per porre fine all’incresciosa situazione accettò di
pagarne più di 150.

Tutto lascia pensare che il broadcast Fox versi in difficoltà
economica. La concorrenza spietata di più di 1000 canali e
soprattutto di Internet ha fatto registrare negli ultimi anni un
calo sensibile di audience e un innalzamento dell’età media
degli spettatori, e conseguentemente dei contratti di locazione
riservati agli spazi pubblicitari. Il pubblico under 34
statisticamente preferisce rivolgersi a siti web come Hulu e
Netliflix, dove i contenuti delle pay-tv sono liberamente fruibili.
E il blocco della programmazione incentiva il ricorso a mezzi
illegali. Durante la trattativa con Cablevision, un call-center
della società “ostracizzata” suggerì ad un cliente infuriato
di cercare la partita di baseball trasmessa da Fox sul web. La
telefonata fu registrata e fu scandalo; per conto suo, la holding
rispose oscurando la propria programmazione su Fox.com e Hulu
Saturday e diffidando Cablevision di incitare ancora alla
violazione del copyright.

In questo modo, le perdite verranno sicuramente re-integrate ma si
tratta, secondo gli osservatori, di una strategia miope: la holding
ha bisogno di canali locali che prestino il loro brand e la loro
identità ai programmi del circuito internazionale Fox se vuole
tenersi stretti almeno coloro che hanno poca dimestichezza con il
computer. I blackout la rendono ancora più invisa agli abbonati e
alla parte attiva dell’opinione pubblica che punta il dito su
News Corp. per le fughe in paradisi fiscali, abuso di potere, varie
multe antitrust. Soprattutto non risolve il problema principale,
comune a tutte le società di comunicazioni contemporanee, di
fidelizzare il pubblico giovane; e se ne vedranno gli effetti in un
futuro sempre più prossimo, quando smartphone e computer avranno
sostituito completamente lo schermo televisivo.

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