L'INTERVISTA/1

In house, Lanzillotta: “Liberalizzare subito”

Il deputato del Gruppo Misto: “L’affidamento senza gara pubblica vizia la concorrenza. Bisogna ridare fiato al mercato. Le società tornino al loro ruolo naturale di agenzia pubblica”

Pubblicato il 04 Giu 2012

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«Credo che sia arrivata l’ora di dire basta alla gestione dell’IT in modalità in house per creare maggiore efficienza e aprire finalmente un’area di mercato finora occupata da soggetti pubblici in modo improprio». È l’opinione di Linda Lanzillotta, deputato del Gruppo Misto e strenua sostenitrice della liberalizzazione dei servizi, soprattutto quelli a forte impatto economico come l’Ict.
Onorevole Lanzillotta, le società in house devono chiudere i battenti?
Il problema non è la loro esistenza quanto la modalità in cui operano ovvero l’affidamento diretto senza gara pubblica. Si tratta di una modalità che dà un vantaggio competitivo alla in house che poi si trova a competere con aziende private sul mercato, falsando in qualche modo la concorrenza.
Ma il decreto Liberalizzazioni del governo Monti non riguarda espressamente le società in house dell’Ict…
Non espressamente è vero ma, a mio avviso, bisognerebbe operare affinché il vento delle liberalizzazioni spirasse anche verso le società in house dell’Ict. Si tratterebbe di dare continuità a una visione strategica battezzata con il decreto Bersani che all’articolo 13 (redatto dalla stessa Lanzillotta quando era ministro degli Affari regionali ndr) vieta l’ulteriore espansione di società pubbliche che, forti della rendita data dall’affidamento senza gara in casa, vanno poi fuori ad acquisire altri contratti. Il divieto riguarda soltanto attività strumentali tipicamente di mercato come l’informatica, la progettazione o la gestione e la manutenzione di immobili, e non attività di servizio pubblico. L’obiettivo era – ma deve esserlo soprattutto ora in epoca di spending review – di ridare al mercato ciò che è del mercato e riportare queste strutture pubbliche al loro ruolo naturale di agenzie pubbliche, che devono costituire uno snodo fra le amministrazioni pubbliche e il mercato laddove la domanda è particolarmente complessa, svolgendo le funzioni di stazioni appaltanti o di consulenza sui capitolati.
Ha fatto cenno alla spending review. Crede che i tagli che sta studiando il commissario Bondi debbano riguardare anche le aziende regionali?
Certamente. Stiamo parlando di società che spesso gestiscono servizi privi di verifica, alimentano fenomeni distorsivi della concorrenza e di moltiplicazione dei costi connessi ai consigli d’amministrazione e alle assunzioni. Dietro a queste società inoltre si possono nascondere clientele, forme di controllo della politica e gestione degli appalti poco trasparente.
Ma le Regioni affermano che la gestione in house permette loro di risparmiare di più rispetto alla messa a gara e al coinvolgimento del mercato…
Bisognerebbe fare dei conti seri e approfonditi, ovviamente. Detto questo bisogna capire cosa intendiamo dire quando parliamo di risparmio. Infatti, pur garantendo la riduzione dei costi di intermediazione per effetto dell’affidamento diretto, la società in house ha alti costi di gestione e amministrativi per l’ente pubblico che la “mantiene”. E poi, senza gara pubblica, è quantomeno complicato valutare il rapporto qualità-prezzo del servizio reso, che è il parametro più importante per valutare i risparmi.
A suo avviso, quale dovrebbe essere l’alternativa all’in house regionale?
Lo dico fin da quando ero ministro per gli Affari regionali nell’ultimo governo Prodi: bisognerebbe realizzare operazioni industriali ad hoc per costruire grandi player efficienti, capaci di cogliere le opportunità di mercato all’interno e soprattutto all’estero, sfruttando le potenzialità dell’internazionalizzazione. Penso ad aggregazioni forti e più competitive per le gare, non alla sopravvivenza di gestioni inefficienti. È questa la vera sfida, una crescita dimensionale, tecnologica, organizzativa che consenta un processo di internazionalizzazione.

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