L'INTERVISTA

Parisi: “Agenda digitale, non fermate la macchina”

Il presidente di Confindustria digitale lancia l’allarme: “Se non si procede l’Italia rischia di non raggiungere gli obiettivi 2015 della Digital Agenda europea e di perdere una grande occasione di sviluppo”. E rilancia: “Avanti sull’implementazione delle norme sullo switch off della PA”

Pubblicato il 18 Mar 2013

Federica Meta

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“L’Agenda digitale deve diventare un asse della politica al pari del risanamento dei conti pubblici e del fiscal compact, ma la crisi politico-istituzionale in corso rischia di eludere la questione”. Stefano Parisi, presidente di Confindustria Digitale, lancia l’allarme sul futuro prossimo del sistema paese.
Cosa teme, presidente?
In questo momento di grande incertezza, vedo una manifesta difficoltà a far emergere i temi della crescita e dello sviluppo, che invece devono restare al centro del confronto politico e diventare la leva di possibili convergenze. Invece, anche laddove ci sono richiami a possibili alleanze di governo, i riferimenti all’economia reale sono del tutto marginali. Al contrario l’attuazione dell’Agenda digitale rappresenta la vera manovra di politica economica in grado di determinare le condizioni strutturali per la riduzione delle tasse, mettere sotto controllo la spesa pubblica, semplificare e dare trasparenza alle procedure e ai risultati e offrire nuovi stimoli alla crescita dell’economia. Serve una visione economica complessiva quando si maneggiano i temi dell’innovazione…
Manca questa visione ora in Italia?
Mi preoccupano le spinte populiste che vorrebbero Internet tutto gratis e tutto libero. Se si strizza l’occhio a queste tendenze si mette a rischio tutto il lavoro che si è fatto in questi anni sul versante della lotta alla pirateria, del copyright del diritto d’autore e, complessivamente, sul tema del comportamento responsabile in Rete. C’è una spinta forte, in questo momento, di chi vede il Web come luogo della totale libertà e illegalità. E non è di buon auspicio per il futuro.
Cosa rischia concretamente il paese se si ferma la macchina dell’Agenda digitale?
Per prima cosa rischiamo di non raggiungere entro i tempi previsti gli obiettivi della Digital Agenda europea. Ricordo che il piano di Bruxelles prevede, al 2015, lo switch off della PA e in parte l’abbattimento del digital divide. L’Italia è già in forte ritardo su questi fronti. Dal un punto di vista più ampio perdiamo una grande occasione di sviluppo, di efficientamento della macchina pubblica nonché di crescita per le aziende e l’occupazione. Non ce lo possiamo permettere.
Cosa si può fare in attesa che si sblocchi l’impasse istituzionale?
Abbiamo un governo in carica per l’ordinaria amministrazione, quindi alcune azioni si possono mettere in campo. Penso all’implementazione di alcune norme sulla digitalizzazione della Pubblica amministrazione per accelerare lo switch off di alcuni processi e a quelle che regolano la vita e il finanziamento delle start up, che sono un po’ l’architrave dell’Agenda italiana. Su tutto serve, ovviamente, dare piena operatività all’Agenzia per l’Italia digitale.
L’innovazione del sistema Paese sconta anche i ritardi dei pagamenti della PA alle imprese. Quanto è frenante questo fattore?
Si tratta di una questione centrale, soprattutto in un momento di difficoltà economica come questo in cui le banche stringono anche sul credito alle imprese. Ho notato che durante la campagna elettorale tutti gli schieramenti politici si sono detti disposti a trovare una soluzione condivisa. Mi auguro che possa essere un tema di impegno bipartisan.
Oltre all’impasse politica l’Agenda digitale sconta anche la carenza di risorse dedicate ai singoli progetti.
C’è un nodo risorse da sciogliere. Ma l’Italia ha dimostrato di saper agire in modo efficace: il ministro per la Coesione Territoriale, Fabrizio Barca, ha reperito 900 milioni di euro per la banda larga dalla ristrutturazione dei fondi Ue. Questa può essere una strada percorribile ma non sufficiente.
Una proposta alla Ue di una golden rule sugli investimenti Ict la convince?
Credo sia necessaria e urgente: gli investimenti in Ict hanno una forte valenza anti-ciclica. Ma solo un governo politicamente forte può andare a Bruxelles a trattare un’eventuale golden rule. Purtroppo l’Europa sta scontando una visione ragionieristica dell’Unione, dove l’obiettivo del pareggio di bilancio decapita le politiche per la crescita mentre il controllo dei conti dovrebbe essere la leva per investimenti ad alto valore aggiunto. In questo senso, credo ci sia una grande responsabilità dei vertici europei non meno grave di quella che hanno avuto, tra gli anni Settanta e Ottanta, coloro che hanno caricato di debito il nostro Paese.

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