PUNTI DI VISTA

PA digitale e software libero, due assi vincenti

Cosa ostacola la scelta di soluzioni free e open source nella pubblica amministrazioni? Freni di tipo “culturale”, integrazione con applicativi gestionali esistenti, timore di non saper gestire la resistenza interna al cambiamento. Ma le barriere si possono superare…

Pubblicato il 16 Feb 2014

*Analista programmatore presso Provincia di Perugia ed esperto Foss

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La storia del software libero nella Pubblica amministrazione potrebbe essere sottotitolata da un “se ne parla molto ma non si fa abbastanza”. È notizia di questi giorni la pubblicazione, da parte dell’Agenzia per l’Italia Digitale, di una circolare sulle modalità di valutazione comparativa per l’acquisto del software in PA, richieste dall’art. 68 del Codice di Amministrazione Digitale. A leggere le molte (forse troppe) pagine scritte, si evidenzia comunque con chiarezza la necessità di privilegiare soluzioni Foss (Free and Open Source Software) e in riuso rispetto a software proprietari.

Qualcuno potrebbe dire che questa ragione è sufficiente al lieto fine della storia. In realtà tutti sanno che non sarà così. Ma cosa ostacola, allora, le PA nella scelta di software libero tanto da fare più notizia un Ente che migra rispetto a tanti che investono soldi pubblici nell’acquisto di licenze che potrebbero (e dovrebbero) non acquistare? Il primo ostacolo è sicuramente di tipo culturale. La mancata conoscenza delle qualità e caratteristiche del software libero porta a considerare soluzioni open source semplicemente come soluzioni gratuite – ovvero di scarso valore. Per abbassare l’ostacolo, come ha dimostrato il progetto di migrazione a LibreOffice LibreUmbria, è sufficiente una campagna di comunicazione – rivolta ad amministratori, dirigenti e personale interessato – utile a spiegare le buone ragioni per passare a software libero.

Altro ostacolo, come evidenzia Gianni Bassini del sistema informativo della Provincia di Cremona, è l’integrazione con applicativi gestionali esistenti. “Quando abbiamo deciso di migrare a LibreOffice – spiega – eravamo preoccupati per la l’adeguamento dei gestionali che producono documenti”. Anche in questo caso l’ostacolo non è insormontabile: basta chiedere una modifica ai fornitori, che spesso la realizzano a costi non esorbitanti (o addirittura gratuitamente) al fine di rendere migliori i propri applicativi. Senza considerare che se crescesse la domanda di integrazione con prodotti open source, l’offerta ovviamente si adeguerebbe.

Altra ragione per non scegliere software libero è spesso legata al timore delle PA di non saper gestire la resistenza interna al cambiamento. “La maggiore difficoltà incontrata migrando a LibreOffice – sottolinea Giorgio Palombini, assessore alla Provincia di Macerata – è stata nell’arginare la diffidenza tra i dipendenti circa le potenzialità del nuovo programma. L’organizzazione di corsi di formazione ci ha consentito non solo di convincere sulla qualità del software, ma anche di spiegare che il risparmio ottenuto grazie alla migrazione, pari a circa 150mila euro, avrebbe consentito investimenti per migliorare i servizi”. Cos’altro serve a convincere le PA a partire per questa che sembra una corsa ad ostacoli e che invece, se presa con il “passo giusto”, si può rivelare una passeggiata? “Il provocatorio “si può fare” – afferma Italo Vignoli, membro del board of director di The Document Foundation – è diventato un obbligatorio “si deve fare”, e si deve fare anche in tempi abbastanza brevi, perché il buon Windows XP, utilizzato ancora oggi da numerose PA, sta uscendo di scena, con la fine del supporto prevista per il prossimo 8 aprile”. Oltre all’obbligo di legge, alle leve di natura etica, alle buone pratiche di migrazione pronte al riuso, alla minaccia della fine assistenza a Windows XP e a Office 2003, si può solo aspettare che arrivino i primi sanzionati eccellenti per non aver rispettato le linee guida. E questa sarebbe la peggior morale che si possa immaginare.

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