LA SENTENZA

Spid, via il tetto dei 5 milioni

Il Tar accoglie le contestazioni di Assintel e Assoprovider sui requisiti finanziari per accreditarsi come identity provider e sulla disparità di trattamento tra pubblico e privato. L’avvocato Fulvio Sarzana: “Violati i principi di concorrenza rispetto alle Pmi. Ora il mercato può aprirsi”

Pubblicato il 21 Lug 2015

Antonello Salerno

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“La prima sezione del Tar del Lazio, presieduta dai Giudici Luigi Tosti, giudici a latere Correale e Perna, ha accolto oggi il ricorso delle Associazioni Asintel e Assoprovider di Confcommercio, e ha annullato in sede di merito il decreto della presidenza del Consiglio dei Ministri, del 24.10.2014, pubblicato sulla G.U. n. 285 del 9 dicembre 2014, relativo al Sistema di identificazione pubblica Spid”.

Ad annunciarlo è Fulvio Sarzana, che aggiunge: “Il tribunale amministrativo regionale ha accolto in toto le censure articolate dallo Studio legale di Roma Sarzana e Associati, e ha annullato in particolare le prescrizioni contenute nell’articolo 10 del Decreto della Presidenza del Consiglio, relativamente ai requisiti necessari per esercitare le attività degli Identity Provider, per violazione dei principi di concorrenza e per eccesso di potere, parità di trattamento e non discriminazione”.

“L’iniziativa non era finalizzata a bloccare in alcun modo il processo legato allo Spid – commenta Sarzana – ma a rilevare una violazione dei principi di concorrenza rispetto alle piccole e medie imprese del mercato della PA. Se il Governo saprà cogliere i suggerimenti del Tar Lazio il mercato dello Spid si potrà allargare a tante piccole e medie imprese e perché no anche a piccoli enti locali”.

Nello specifico, il pronunciamento del Tar del Lazio riguarda il requisito fissato dal Governo per l’accreditamento degli identity provider, che per poter fornire le identità digitali avrebbero dovuto avere un capitale sociale di almeno 5 milioni di euro. Requisito, come quello dell’onorabilità, da cui erano invece esenti le pubbliche amministrazioni. Proprio facendo leva su questa “disparità di trattamento” tra pubblico e privato, e sul fatto che la soglia dei 5 milioni di euro sarebbe stata discriminatoria per tante piccole e medie imprese che invece avrebbero potuto dimostrare di possedere tutti i requisiti tecnici necessari, era nato il ricorso di Assintel e Assorpovider accolto dal tribunale. Rimane ora da capire come deciderà di orientarsi il Governo: se cioé deciderà di tenere in piedi l’impianto del dereto, semplicemente facendo a meno delle parti che il Tar ha giudicato illegittime, o se vorrà di nuovo mettere mano alla norma generale per riscriverla completamente.

“Il prescritto requisito di capitale sociale – recita la sentenza del Tar – pone un limite che non persegue nemmeno una finalità logica, considerato che l’articolo 4 del decreto impugnato, ai commi 2, 3 e 4, prevede che l’Agenzia adotti regolamenti per definire le regole tecniche e le modalità attuative per la realizzazione dello Spid, le modalità di accreditamento dei soggetti Spid, nonché le procedure necessarie a consentire ai gestori dell’identità digitale, tramite l’utilizzo di altri sistemi di identificazione informatica conformi ai requisiti dello Spid, il rilascio dell’identità digitale: e tali norme integrative già prevedono dei requisiti molto stringenti per l’esercizio dell’attività di identificatore, senza che aggiuntivamente si palesi la necessità di subordinare lo svolgimento della ripetuta attività al raggiungimento di una soglia così elevata di capitale sociale”.

“Il requisito – prosegue il documento – si appalesa dunque sproporzionato rispetto al fine che la norma intende perseguire e, laddove è inoperante per i soggetti pubblici, dà luogo anche ad una indebita discriminazione in favore di questi ultimi, in contraddizione col principio comunitario che impone l’adozione di regole finalizzate a non trattare in modo diverso situazioni analoghe, a meno che non ricorrano situazioni oggettive che giustifichino siffatta diversità, che nella specie restano indimostrate”.

“Per completezza di analisi – continua – si soggiunge che l’applicazione della nuova disciplina provocherebbe, necessariamente, effetti distorsivi del mercato, cagionando una rarefazione della concorrenza nel settore de quo che avvantaggerebbe direttamente i soggetti pubblici, esclusi dal rispetto del requisito in esame, e sottrarrebbe ampie e innovative aree di attività economiche all’iniziativa economica imprenditoriale privata, in contrasto con la finalità di massima apertura del mercato che costituisce essenza dell’ordinamento comunitario”.

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