Nicolais: “Italia fucina di talenti, ma serve il grande salto digitale”

Il presidente del Cnr, che si appresta a concludere il proprio mandato, accende i riflettori sugli investimenti annunciati dai big mondiali dell’hi-tech, da Apple a Cisco. “Iniziative positive perché possono innescarne altre, come accadde ai tempi di Stm e Accenture, e creare nuova occupazione”

Pubblicato il 05 Feb 2016

Mila Fiordalisi

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«Apple a Napoli? Decisamente una buona notizia. Sono curioso di vedere cosa l’azienda farà in concreto. Non è chiaro se si stia puntando su risorse da formare o da inserire nell’organico a tutti gli effetti. Ad ogni modo che l’azienda abbia deciso di investire in Italia e in particolare a Napoli, dove si concentra una percentuale alta di giovani specializzati in Ict, è positivo». Ancor di più per un napoletano e un esperto di innovazione come Luigi Nicolais. Ex ministro per l’Innovazione nella PA durante il governo Prodi (2006-2008), Nicolais concluderà in questi giorni il suo mandato in qualità di presidente del Cnr dopo quattro anni (è in carica dal 2012). Un’esperienza importante per almeno due motivazioni: da un lato quella “affettiva” – Nicolais ha iniziato la sua carriera proprio al Cnr come ricercatore – e dall’altro quella concreta sul campo. “Il bilancio è eccezionale – racconta al nostro giornale -. Ho incontrato tantissimi giovani, preparatissimi, vogliosi di andare avanti nonostante le basse retribuzioni, e legati al territorio. Il Cnr rappresenta un’eccellenza a livello internazionale in materia di ricerca e innovazione. E non solo: il supporto al governo, in questo momento in particolare alla Polizia di Stato sul fronte della cybersecurity è il segnale di une ente che ben interpreta la sua missione, quella di sostenere il Paese.

Presidente, secondo lei perché Apple ha deciso di puntare proprio su Napoli?

Ma guardi, secondo me non a caso. Napoli da tempo è diventato un polo “attraente” per le aziende dell’innovazione. Quando ero, e le parlo di 15 anni fa, assessore alla Ricerca e Innovazione del Comune, ho lavorato molto proprio per attrarre investimenti. StMicroelectronics e Accenture le aziende che a suo tempo decisero di raccogliere la sfida e di investire sul territorio assumendo molti giovani formatisi alla Federico II e all’Università del Sannio, atenei riconosciuti nella formazione di eccellenza in particolare sul fronte dell’ingegneria informatica. Adesso arriva Apple. Il segnale è importantissimo, soprattutto perché l’iniziativa può innescarne altre a catena e contribuire a “riqualificare” il territorio. Sono tanti i giovani che si trasferiscono in altre città e persino all’estero perché non trovano opportunità di lavoro. Questa potrebbe essere una buona occasione e si spera che l’azienda attivi un rapporto proficuo proprio con gli atenei ed i centri di ricerca e innovazione già operativi sul territorio.

Quali sono le competenze che si stanno sviluppando maggiormente nel territorio?

Sul fronte IT il territorio è da sempre leader nell’ingegneria informatica, come le dicevo. E le due professioni che stanno decisamente prendendo piede, sono quelle dei software e app developer, fra le più richieste dal mercato. Il Cnr da parte sua contribuisce a formare i “talenti” del futuro grazie all’Istituto di calcolo e reti ad alte prestazioni (Icar) – guidato da Giuseppe De Pietro – che ha sede proprio a Napoli ed è specializzato nell’innovazione in Sanità. Però resta sempre il problema di dare ai giovani delle opportunità concrete. I progetti del Cnr consentono di assegnare borse di studio e di attivare contratti a tempo determinato. è molto difficile creare posizioni permanenti. Tenga conto che sulle 10mila persone impiegate al Cnr, 2mila hanno contratti a tempo determinato. Non pochi.

E come si può risolvere il problema?

Bisogna che si lavori proprio ad attrarre gli investimenti, quelli italiani ma soprattutto quelli internazionali considerato che oramai siamo in una dimensione globale e che chi vuole essere competitivo sul mercato non puà che ragionare in ottica globale. Il Cnr da questo punto di vista è una best practice, un modello di riferimento: il bilancio annuale, che ammonta a circa un miliardo fa capo per 600 milioni a risorse ministeriali e per 400 da contratti esterni, che fanno capo a progetti europei, finanziamenti da parte di imprese. E l’attrattività del Cnr sta proprio nella qualità.

Oltre a Napoli ci sono altri territori particolarmente attraenti sul fronte Ict?

Per quel che riguarda il Cnr, ricordo che a Pisa opera il Registro.it, per la gestione del dominio .it, opera all’interno dell’Istituto di Informatica e Telematica del Cnr. Più in generale posso dirle che al momento c’è grande attenzione al tema delle smart communities, delle smart city, della realtà aumentata, in particolare nei beni culturali.

Secondo lei quanto vale la partita della PA digitale come “motore” della digitalizzazione del Paese?

Quando si parla di digitalizzazione del Paese bisogna immaginarsi che è come se si stesse costruendo un impianto di irrigazione: per funzionare tutti i tubi devono essere collegati. Nella PA le cose stanno così: molte strutture non sono ancora interoperabili dunque non sono collegabili fra loro. L’idea finale di una PA del futuro, è quella di fare l’Internet della PA. Non bastano le singole iniziative, seppure lodevoli. Ad esempio sul fronte cloud l’Italia è fra i Paesi più avanzati, ma cloud significa lavorare insieme non farsi delle “nuvolette” ciascun per sè. Nel nostro Paese i dati sono ancora detenuti come forma di potere: finché non si scardina questa mentalità sarà difficile creare davvero una società “connessa”.

E le nostre imprese come sono messe?

Le grandi imprese sono per loro natura connected. Per le pmi le cose invece non stanno del tutto così. Il primo ostacolo, anche in questo caso, è la mentalità. Ma dobbiamo essere più incisivi da un punto di vista politico, ad esempio, emarginando chi non fa il “salto”.

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