RIVOLUZIONE PA

PA digitale, ecco le cinque mosse vincenti per rivoluzionare l’Italia

La riforma Madia offre un’occasione importante di cambiamento. Ma per evitare di digitalizzare l’esistente serve modificare l’approccio. Norme efficaci, e-skills, modelli di lavoro, Ict e nuova etica pubblica i driver per rilanciare il Paese. L’analisi di Carlo Mochi Sismondi presidente di Forum PA

Pubblicato il 23 Mag 2016

Carlo Mochi Sismondi

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Avete mai provato a chiedere ad un ragazzo se è digitale? Mio figlio, da poco ventenne, mi guarderebbe senza capire e proromperebbe in un romanissimo “ma che stai a di’?”. Definire il nostro presente come digitale ha lo stesso senso del definire acquatico un pesce o aereo un uccello: pura tautologia. Ha poco senso quindi anche dire che la PA deve essere prima di tutto digitale o “digital first” come recita la legge delega 124/15 (c.d. “riforma Madia”).

Anche nel presentare il FORUM PA 2016 (24-26 maggio Palazzo dei Congressi di Roma) noi parliamo di “PA digitale”, ma questa aggettivazione, che pure abbiamo scelto di usare perché la riteniamo utile per farci capire, è foriera di un errore di fondo che vorremmo subito disinnescare: non esiste una PA digitale e una “PA non digitale” che potrebbe essere invece oggetto di studio di esimi amministrativisti che non sappiano neanche l’abc dell’innovazione. Il “digitale” non è infatti uno strumento né tantomeno un settore della nostra vita economica, sociale, relazionale, culturale ma è il mare in cui nuotiamo, è l’aria che respiriamo, è l’ecosistema in cui è immersa la nostra vita, almeno, per ora, nei nostri paesi ad economia avanzata. In questo senso, archiviata ormai come totalmente obsoleta la distinzione tra old e new economy e preso atto dei nuovi paradigmi della industria 4.0, possiamo tranquillamente affermare che l’agenda digitale è semplicemente l’agenda dello sviluppo del Paese, perché qualsiasi politica di sviluppo economico non potrà che appoggiarsi sulla trasformazione digitale dei prodotti, dei processi, delle relazioni, dei ruoli. Altrettanto possiamo dire che la PA digitale è semplicemente una PA migliore, più veloce, più semplice, più vicina ai cittadini, più adatta a produrre “valore pubblico” per i contribuenti. Una buona PA o è digitale o non è.

Ciò premesso non è che la strada sia più facile, anzi. E’ necessario infatti muoversi contemporaneamente su almeno cinque piani paralleli, stando attenti a non scivolare perché qualcuno di questi è inclinato e insaponato:

• le norme e le linee guida: il decreto legislativo che rinnovella il Codice dell’Amministrazione Digitale è stato approvato dal Governo in via preliminare e sta facendo il non breve percorso (Ragioneria Generale dello Stato, Consiglio di Stato, Commissioni parlamentari, Conferenza delle Regioni) verso il ritorno in Consiglio dei ministri per la sua promulgazione. Non è perfetto, ma ci si può accontentare a patto di non cadere nella c.d. “illusione del legislatore” che è il pensiero ingenuo secondo cui fatta la legge è fatta la riforma. Non è così. Su questo terreno il nuovo CAD, fa dei decisi passi avanti, ma, legato come era da una legge delega molto “tradizionale”, non può fare ancora il passo decisivo, ossia quello di indicare i principi fondamentali e passare poi la mano a “istruzioni per l’uso” pensate non per il giudice, ossia per la patologia, ma per un migliore funzionamento fisiologico dei processi amministrativi. Il risultato è spesso buono nella sostanza, quanto incomprensibile nella forma e non c’è nulla che fa più paura di quel che non si capisce;

• le competenze: è inutile girarci intorno, le competenze di livello medio alto in IT nella PA sono molto scarse. Negli anni abbiamo assunto soprattutto giuristi e, con il blocco delle assunzioni, quelli ci ritroviamo. O si sblocca il turnover e si immettono giovani con adeguate professionalità o l’innovazione sarà un ossimoro;

• i processi e i modelli organizzativi: le tecnologie non fanno diventare intelligente o utile un processo amministrativo stupido (vedi i certificati) o inutile (vedi le tante sovrapposizioni esistenti). Lo fanno diventare, se va bene, più veloce, ma sempre di spreco si tratta;

• le tecnologie: si dice continuamente che esse siano ampiamente disponibili. E’ vero a patto di comprare quelle che ci servono e non quelle che abbiamo sempre comprato. Il ripensamento del procurement è possibile con il nuovo codice degli acquisti pubblici, ma sono necessari anche qui commitment e professionalità;

• i comportamenti: è la partita più difficile perché tocca il lavoro di ciascun lavoratore pubblico. La partita si vince solo cambiando completamente l’approccio alla gestione delle risorse umane, con un nuovo e maggiore rispetto per le persone e per il loro sviluppo professionale.

Questa è la base su cui stiamo costruendo il principale settore di FORUM PA 2016, dedicato appunto alla PA digitale e alle condizioni perché ci sia un reale cambiamento di processi e di comportamenti e, di conseguenza, ci sia un cambiamento percepito nella vita dei cittadini e delle imprese.

Lo facciamo con un programma di incontri variegato che prevede eventi che hanno diverse tipologie, diversi obiettivi, diversi interlocutori. Quattro i formati principali:

• un convegno di scenario il 25 maggio diretto dal direttore dell’AgID Antonio Samaritani;

• undici convegni tematici per altrettanti grandi temi della PA digitale per verificarne l’execution;

• quindici “focus” di approfondimento e di scambio di know how tesi a far conoscere le migliori esperienze italiane ed internazionali;

• molte decine di lezioni, di presentazioni, di “elevator pitch” perché ciascun intervenuto torni a casa con un “sapere utile”.

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