Il Foia all’italiana e il misticismo delle riforme

Il Freedom of Information Act entra in vigore, ma restano criticità importanti. Siamo sicuri che la PA sarà davvero una casa di vetro? Chi decide gli interessi privati che giustificano il rifiuto di accesso agli atti? L’analisi dell’avvocato Michele Gorga

Pubblicato il 24 Giu 2016

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Ricordo con piacere un professore che amava introdurre le sue lezioni con aneddoti volti a dimostrare che dietro l’utilizzo delle parole in inglese, in realtà si nascondono, a volte, cose banali alle quali si vuole dare dignità. Cosi sarebbe banale pensare ad una riforma della giustizia all’americana, amministrata da una miriade di Tribunali e Corti di Appello locali e da 51 Corti Supreme, dei singoli stati e una Corte suprema federale dove, però, chiunque, può essere arrestato senza l’ordine di un giudice ma per volontà della polizia. Dove si è presunti colpevoli salvo che si versi una cauzione per riottenere la libertà provvisoria. Cosi quando, nella comunicazione politica, non si ha la forza di dire che si intende fare una legge sulla riforma del lavoro allora si usa il termine Jobs Act, e quando non si vuol parlare dell’adozione del figliastro del convivente si ricorre al termine di stepchild adoption.

Quel lontano insegnamento è ritornato alla mia mente proprio in questi giorni, in occasione dei roboanti annunci governativi sull’approvazione del FOIA, acronimo del Freedom of Information Act, del quale, da più parti, ne sono state evidenziate le criticità. Quello che colpisce è l’incultura di fondo in merito ad istituti d’oltreoceano che nulla hanno a che fare con la nostra tradizione giuridica e democratica. Così si ignorano le origini di istituti appunto come il FOIA che in USA nasce da un “incidente” storico conseguente all’approvazione del Privacy Act, approvata dal Congresso nel 1974, a seguito dello scandalo Watergate che portò alle dimissioni del presidente Nixon. Con quella legge, si pose un freno agli abusi commessi dalle agenzie e dagli enti pubblici nell’utilizzo improprio di informazioni riguardanti i privati cittadini e lo si fece ponendo una deroga al “diritto di sapere”. All’origine era stato previsto di regolamentare complessivamente sia il settore pubblico che quello privato, ma per il timore che vi fosse un impatto negativo sullo sviluppo dell’iniziativa economica privata si preferì un approccio limitato. Questa scelta porto al varo di una normativa apposita, appunto quella del Freedom of Information Act sulla trasparenza e per l‘accesso agli atti della Pubblica amministrazione.

Quello su cui si tace è che i principi enunciati nel FOIA sono largamente disapplicati da parte delle più importanti Agenzie americane e cioè proprio da parte di quelle amministrazioni che detengono dati sensibili delle persone, quali sono ad esempio la CIA, FBI e il Pentagono. Queste trattano i dati senza alcun bisogno di chiedere preventivamente autorizzazioni ad autorità, amministrativa o giurisdizionale, o ai privati i cui dati trattano, e rispetto ai quali possono rigettare, senza dare alcuna motivazione, le richieste di accesso da parte dei relativi interessati. Inoltre quando l’accesso ai dati è consentito questo può essere anche rinviato anche per più di cinque anni.

Non vi è da stupirsi, quindi, se questo è il modello di riferimento per l’accesso civico, che non prevede alcuna sanzione qualora i responsabili non provvedano entro trenta giorni, pur enunciandosi, pomposamente la “libertà di accesso agli atti” condizionato poi alle di linee guida in capo all’ANAC, prezzemolo di ogni minestra, che come dichiara il Presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati, è autorità amministrativa che poco può fare rispetto ai fenomeni di corruzione.

Ma la P.A. con il FOIA è veramente destinata a diventare una casa di vetro per i cittadini? Veramente è eliminato l’obbligo di identificare chiaramente dati e documenti? Ma allora se è così che valore ha la previsione che l’accoglimento o il rifiuto dell’accesso dovranno essere effettuati con un provvedimento espresso e motivato? In particolare, si prevede che l’accesso è rifiutato quando si renda necessario evitare un pregiudizio concreto alla tutela di interessi pubblici o privati. Quelli pubblici li possiamo identificare negli interessi dello Stato e potrebbero essere di sicurezza nazionale o su questioni militari, ma quelli privati quali sono? Appellarsi al responsabile anticorruzione ossia al “Carneade. Chi era costui?” di Manzoniana memoria, senza prevedere il contraddittorio e senza la previsione di una procedura trasparente, è solo un operazione rozza di propaganda politica e non di buona amministrazione perché il responsabile della trasparenza, non è organo terzo ed imparziale ma che dovrà rispondere alla struttura di vertice che lo nomina.

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