LAVORO

Industria 4.0 alla prova “capitalization”

Riflettori puntati sul futuro di molte professioni. Se il saldo fra vecchio e nuovo sarà negativo non è possibile stimarlo con certezza, ma certamente l’impatto sociale si farà sentire

Pubblicato il 15 Lug 2016

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Era il 1995 quando Jeremy Riflkin pubblicava il suo libro “ The End of Work – The Decline of the Global Labor Force and of the Post Market Era. “. Erano gli anni in cui la cosiddetta terza rivoluzione industriale si andava consolidando. Elettronica,computer, informatica e telecomunicazioni erano le tecnologie che consentivano di aumentare sostanzialmente la produttività e la flessibilità delle aziende manifatturiere e non. Nei paesi cosiddetti industrializzati l’eliminazione sistematica dei posti di lavori nel manifatturiero e nei servizi cominciava a crescere , A Jeremy Riflkin sembrava veramente vicino la fine del lavoro e lo teorizzò nel suo libro. Ma si sbagliava, almeno nei tempi.

Come è sempre successo da più di 200 anni l’introduzione di nuove tecnologie nel mondo cancella posti di lavoro, ma ne crea egli altri: è l’effetto di capitalization, per cui alla diminuzione dei prezzi dovuta alla migliore efficienza produttiva si accompagna l’aumento della domanda di beni e servizi e la nascita di nuovi mestieri. Negli ultimi anni infatti è aumentata la produttività, si sono creati nuovi posti di lavoro e l’occupazione ha retto, anche se il reddito medio di una famiglia americana, depurato dall’inflazione, è oggi minore di quello percepito nel 1997.

Oggi però il lavoro si trova a fronteggiare un nuovo attacco della tecnologia: l’esplosione del digitale. Ovunque si siano diffuse le tecnologie digitali, computer, telefoni mobili, internet, i social media, la conservazione di dati, musica e video digitali,impianti produttivi, le tecnologie legate alle energie rinnovabili, lo splicing dei geni e il sequenziamento genico, la biologia di sintesi, il GPS e l’Internet degli Oggetti, la velocità, la portata e l’impatto sistemico sono esponenziali e rinnovatori.

La tecnologia ormai fornisce capacità di calcolo e di analisi incredibili: la legge di Moore continua ad essere valida e la crescita esponenziale della complessità dei chip di silicio rende disponibile, a parità di prezzo, processori sempre piu veloci e memorie sempre più grandi; le telecomunicazioni wireless e wired azzerano a costi bassissimi qualsiasi distanza; l’introduzione del cloud mette a disposizione enormi capacità di analisi e di calcolo puntuali e su richiesta; l’algoritmica, sempre più sofisticata, rende disponibile un intelligenza artificiale capace di analizzare e decidere come gli umani attraverso un interfaccia uomo-macchina somigliante sempre più a quella uomo- uomo; la robotica si evolve verso un comportamento efficace e consapevole non solo del compito ma anche dell’ambiente in cui si trova ad operare, con grande capacità di autolearning.

Questa esplosione tecnologica viene riportata in letteratura come la quarta rivoluzione industriale, ed ormai comincia a traboccare velocemente dal suo vaso di Pandora.

Sotto questo turbinio di venti tecnologici,la dinamica di bilanciamento dei posti di lavoro assicurata dal contrapporsi di effetto sostitutivo ed effetto di capitalisation, potrebbe essere ridotta dall’espansione della portata dei processi di automazione. L’erosione si espanderebbe in questo modo dall’area dei lavori a bassa specializzazione a quella dei lavori a media specializzazione. Nel medio termine sarebbero lasciati agli umani invece, le prestazioni che richiedono competenze di tipo sociale e creativo: dalla ricerca , alla progettazione ,dal management, all’arte, all’educazione, all’assistenza delle persone. Ma questa volta, man mano che la tecnologia avanza, i posti creati richiederanno un livello di specializzazione sempre più alto e non saranno equamente geograficamente distribuiti, ma concentrati in poche località sparse nel mondo.

Secondo il rapporto centrale del World Economic Forum, “Future Jobs”, del 2016 da qui al 2020 nel mondo si perderanno 7,1 milioni di posti di lavoro a cui faranno da contrappeso la nascita di altri 2,1 milioni di posti di lavoro più specializzati. Il saldo comincia a diventare pesante: nei prossimi 4 anni nel mondo vedremo scomparire circa 5 milioni di posti di lavoro a causa delle nuove tecnologie .

Ciò che accadrà in futuro è sulle ginocchia di Giove, ma, secondo le previsioni di Frey e Osborne in ” Techonology at Work. The Future of Innovation and Employment “,lo sviluppo tecnologico, sempre più rapido, metterà, nel corso del prossimo decennio, ad elevato rischio di sostituzione il 47% della forza lavoro statunitense. Il lavoro non è ancora morto, ma forse non sta troppo bene.

Come gestire l’ impatto sociale di tutto ciò, è una della grandi sfide del futuro.

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