AGENDA DIGITALE

Ngn, Italia Login e Industria 4.0: i ponti verso l’Italia digitale

Sono i tre progetti chiave del governo per accelerare l’innovazione. Ma serve una governance centrale che faccia ordine nei progetti policentrici, pur fondamentali, di aziende e PA. L’analisi di Roberto Masiero, presidente The Innovation Group

Pubblicato il 07 Nov 2016

Roberto Masiero, Presidente, The Innovation Group

social-innovation-141114115850

Molto si sta muovendo in tema di innovazione digitale nel nostro Paese. Il prossimo Digital Italy Summit 2016, che si terrà a Roma in Confindustria il 22-23 novembre, costituirà un primo momento in cui confrontare idee, politiche ed iniziative in corso e cominciare a mettere insieme le tessere del puzzle dell’innovazione che si sta componendo.

Nel corso del summit verrà presentato infatti il rapporto Digital Italy 2016: per una strategia nazionale dell’Innovazione digitale, edito da Maggioli, che contiene i risultati dei tavoli di lavoro a cui hanno dato vita più di 40 esperti del mondo digitale italiani e internazionali, economisti, politici, docenti universitari e centri di ricerca.

Il rapporto fotografa questo “movimento magmatico” dell’innovazione in corso: la digitalizzazione che pervade il mondo delle imprese e trasforma rapidamente i modelli di business; la Pubblica amministrazione compressa tra la domanda di semplificazione e di efficienza e la resistenza dei vecchi silos; e un sistema di infrastrutture che stenta a riallinearsi alle dinamiche dell’economia reale.

In questo contesto si stanno finalmente delineando politiche e iniziative che mirano ad aggredire, pur ancora in ordine sparso, i nodi dell’innovazione e della crescita digitale del nostro Paese.

Questo “ponte” verso la crescita digitale si articola finora su tre pilastri principali: Italia Login, Industria 4.0 e il Piano Banda Ultralarga.

1) Italia Login e la PA come traino del cambiamento

Il ministro Marianna Madia, nella sua introduzione al Rapporto (Marianna Madia, Introduzione a “Digital Italy 2016 – Per una Strategia nazionale dell’Innovazione Digitale”, Maggioli, ottobre 2016,) la definisce come “una grande infrastruttura tecnologica che consentirà ad ogni cittadino e ad ogni impresa di interagire e ricevere informazioni dalla Pubblica amministrazione; Italia Login vuole essere l’ecosistema della PA, l’architettura in cui vengono fondati in maniera semplice e veloce i rapporti tra la PA e i privati”.

Antonio Samaritani (sempre nell’introduzione a “Digital Italy 2016 – Per una Strategia nazionale dell’Innovazione Digital”) sottolinea che “Italia Login è dunque un progetto-bandiera… un “working title” dell’attività di governo rispetto al nuovo corso di modernizzazione dello Stato, per la creazione e la fruizione di servizi digitali innovativi. I progetti strategici avviati ( SPID, ANPR, PagoPA, ecc) si trasformano in tessere di un puzzle che diventa il punto principale di accesso a tutti i servizi pubblici digitali, il front end di un più ampio ecosistema nazionale”.

Italia Login rappresenta dunque probabilmente la parte più “magmatica” del processo di costruzione di questo grande ecosistema nazionale. Se il punto di partenza è chiaro – la costruzione di piattaforme abilitanti su cui possano essere esposti i servizi ai cittadini e alle imprese – non è ancora completamente chiaro il punto di arrivo: Italia Login sarà un luogo dove il cittadino potrà andare e vedere tutte le informazioni che hanno a che fare con lui? Sarà una APP o una serie di APP? in questo caso fatte da chi? O sarà un set di design guidelines, sulla base della quale chiunque potrà prendere le API, fare le sue applicazioni e metterle a disposizione? Un’architettura basata su API che fornisca un punto centrale – ma non unico – di accesso?

Due punti ci sembrano comunque importanti per far crescere questo “pilastro” e consentirgli di reggere il “ponte dell’Innovazione”:

Il nuovo ruolo del Commissario Straordinario per l’attuazione dell’Agenda Digitale, Diego Piacentini, e i poteri inusuali che gli sono stati conferiti per consentirgli di rompere con la giungla di resistenze corporative e di districarsi dagli intrichi legislativi e regolamentari che in questo paese tentano di bloccare ogni sforzo di innovazione

E che Agid si riappropri di un ruolo di disegno aperto e condiviso, che le consenta di abilitare quella concertazione di partnership pubblico-privato da cui possano nascere nuovi servizi e svilupparsi nuovi ecosistemi.

Questi dunque alcuni temi su cui ci attendiamo che dal summit le prime risposte.

2) Industria 4.0

Il ministro Calenda ha recentemente affermato, nel suo intervento al seminario Assonime, che la digitalizzazione è un fatto politico: “Digitalizzazione e innovazione non sono temi tecnici, ma altamente politici, proprio come lo è stata l’internazionalizzazione negli anni scorsi.” E ancora: “Il digitale è un grande abilitatore orizzontale…Per questo abbiamo costruito un piano nazionale industria 4.0 integralmente contenuto nella finanziaria, tecnologicamente neutro, che non definisce tecnologie ma ambiti tecnologici. E’ orizzontale, e si basa integralmente su incentivi fiscali, che lavorano sul driver degli investimenti, di stimolo e vantaggio fiscale”. Quindi una politica di incentivi e non di bandi.

In questo caso stiamo quindi parlando di una vera e propria politica industriale basata sull’innovazione e centrata sulla manifattura, asse centrale dell’economia del nostro Paese. Una politica industriale che miri a favorire gli investimenti sulle competenze e sulle tecnologie abilitanti, e che è perfettamente compatibile con l’economia di mercato; che consenta di rimettere in moto meccanismi che si sono “appisolati”.

Il pilastro Industria 4.0 è già solido: il piano c’è e cuba 20,4 miliardi di euro nel periodo 2017-19, di cui 13 miliardi nel solo 2017 (impegni presi su questa Legge di bilancio), ha riportato il ministro Calenda presentando i dati sempre al seminario Assonime.

Tuttavia anche qui sono opportune alcune riflessioni. Si è scelta una “via italiana a Industria 4.0”, diversa da quella Usa (limitato impegno centrale del Governo, 0,5 miliardi di), da quella francese (forte impegno centralizzato, 10 miliardi di euro), e da quella tedesca (filiere di imprese pilotate dai vari Fraunhofer, ecc).

L’approccio basato sugli incentivi che riguardano beni materiali e immateriali come software e servizi di integrazione e sviluppo di soluzioni rischia però di non avere una sufficiente capacità di coinvolgimento dei 4 milioni di imprese che formano la spina dorsale della nostra economia non essendo stati previsti finora incentivi all’utilizzo del cloud computing nelle sue varie forme: il rischio è che gli incentivi non bastino a garantire la necessaria massa critica di “trasformazione digitale”.

E allora ci chiediamo se per raggiungere questa “massa critica” non sarebbe opportuno favorire l’aggregazione di imprese intorno a dei programmi, a degli indirizzi (per esempio automazione, Human Technopole) in cui lo Stato generi massa critica utilizzando gli incentivi automatici.

3) Il Piano banda ultralarga

Come noto, il piano approvato nel marzo 2015 ha come obiettivo lo sviluppo di una infrastruttura di telecomunicazioni sull’intero territorio nazionale in coerenza con le specifiche dell’Agenda europea 2020.

Ora è evidente che le reti di telecomunicazione (fisse e mobili) e in particolare la banda ultralarga sono l’infrastruttura portante che abilita la digitalizzazione di aziende, organizzazioni pubbliche e private e consumatori; ed è noto che la copertura e la penetrazione della banda ultra larga fissa nel Paese è tra le più basse d’Europa.

Si tratta quindi del pilastro centrale del nostro ponte dell’innovazione, senza il quale l’intera costruzione crollerebbe.

Purtroppo il piano ha già subito un rallentamento dovuto al fatto che i tempi della burocrazia europea non sono compatibili con quelli dell’innovazione tecnologica: si è dovuto attendere infatti quasi un anno per ottenere il riconoscimento che l’approvazione della decisione di realizzare a carico dello Stato una struttura pubblica nelle aree a fallimento di mercato non rappresenta aiuti di stato!

In secondo luogo, il bando è stato seguito una serie di ricorsi che ne stanno rallentando fortemente l’implementazione.

E infine, il via libera della Commissione europea al sistema di incentivi pubblici proposti dal governo per i cluster A e B è ancora sub judice; tanto da far riflettere se non si sarebbe potuto puntare invece maggiormente sul sostegno della domanda.

In conclusione, il tema che proponiamo con il nostro Rapporto e che vorremmo sviluppare nel corso del summit è il seguente: come possiamo evolvere da questi tre pilastri che stanno crescendo autonomamente – e da tante altre iniziative che spuntano “a fungo” – a una vera e propria strategia nazionale dell’innovazione digitale, in cui le politiche e le iniziative siano coordinate e su cui sia possibile realizzare una “governance” permanente?

Perché i vantaggi che una strategia complessiva e una governance permanente potrebbero offrire risultano evidenti, se non altro considerando le opportunità che potremmo cogliere o i problemi che potremmo evitare o risolvere. Qualche esempio?

Per quanto riguarda la banda ultralarga siamo partiti sulle aree bianche, ma il 70% delle imprese sta sulle aree grigie! D’altronde, grazie a Industria 4.0 l’imprenditore può mettere l’ultimo miglio di connessione in ammortamento accelerato… Cosa che invece non possono fare le imprese per finanziare l’acquisto di servizi cloud sempre più strategici, col risultato che non tutti gli investimenti agevolati possono agevolare la transizione delle Pmi alle tecnologie abilitanti dell’Industria 4.0.

Come pure c’è il rischio che l’introduzione dell’Anpr ponga i piccoli comuni nella situazione di vedersi aumentare anziché ridurre le spese correnti, in mancanza di adeguati interventi di sostegno.

In conclusione, è normale che l’innovazione digitale nasca e si sviluppi in modo autonomo e policentrico nel mondo della PA, delle imprese e delle organizzazioni. Occorre però che a un certo punto si affermino la necessità di una governance a livello di Paese, capace di trasformare le spinte e le varie iniziative in concreta capacità di azionare la trasformazione e la crescita digitale dell’intero Paese.

La parola è dunque alla politica e al Governo: perché se il tema è quello di ristabilire connessioni e sinergie tra le iniziative e le politiche in corso, di connettere tra loro con un solido sistema di arcate e longheroni i pilastri del ponte, allora il tema del digitale emerge in tutta la sua dimensione politica: un ponte per andare dove?

Per fare leva sul peso della propria domanda come grande Paese consumatore, o per riaffermare il ruolo di un Paese nuovamente produttore? Il digitale permette una infinita flessibilità e grandi miglioramenti di performances e di efficienza, ma prima deve essere chiaro dove vogliamo andare.

Valuta la qualità di questo articolo

La tua opinione è importante per noi!

Articolo 1 di 2