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Riforma PA, tagliola su 5mila in house: ok al decreto

Il Cdm vara il decreto correttivo sulla riduzione delle società partecipate: si abbassa a 500mila euro la soglia di fatturato per l’eliminazione. Via alla possibilità di partecipare a bandi extra-territoriali. Deroghe ad hoc per le aziende pubbliche di Trento e Bolzano

Pubblicato il 12 Giu 2017

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Via libera definitivo del Consiglio dei Ministri al nuovo decreto sulle partecipate in attuazione della riforma della PA. Il nuovo decreto si è reso necessario dopo la sentenza della Corte costituzionale che ha imposto l’intesa, e non il semplice parere consultivo, della Conferenza unificata sui decreti attuativi della legge Madia n. 124 del 2015 per la riforma della PA.

Il Testo unico del 2016 attuativo della riforma della PA puntava a ridurre le in house partecipate, imponendo alle amministrazioni di effettuare entro sei mesi dall’entrata in vigore una ricognizione delle partecipazioni inutili e di prevedere piani di riassetto per la loro razionalizzazione, fusione o soppressione che entro un anno avrebbero dovuto portare all’eliminazione di tutte le società inattive, eccessivamente piccole, con fatturato medio non superiore a un milione di euro e che non producono servizi indispensabili alla collettività.

Rispetto all’intento originario, con il decreto correttivo il progetto di razionalizzazione delle società a partecipazione pubblica risulta ridimensionato, alla luce delle modifiche richieste dalle amministrazioni pubbliche.

In primo luogo si allungano i tempi: i termini per la ricognizione di tutte le partecipazioni possedute e per l’approvazione dei piani di razionalizzazione vengono prorogati al 30 settembre.

Inoltre i piani di razionalizzazione dovranno prevedere l’addio alle partecipazioni in aziende con più amministratori che dipendenti o con fatturati minimi nel triennio precedente, sotto i 500mila fino al 2019 e sotto il milione a partire dal 2020. Nel caso di partecipazioni regionali o delle Province autonome di Trento e Bolzano, una deroga permette l’esclusione di singole società dall’ambito di applicazione della disciplina con provvedimento motivato del Presidente della Regione o della Provincia.

Anche la tipologia di società da tagliare viene ridotta: le PA possono acquisire o mantenere partecipazioni in aziende che producono energia da fonti rinnovabili, servizi di interesse economico generale fuori dall’ambito territoriale della collettività di riferimento, a pattto che ottengano l’affidamento del servizio tramite gare pubbliche.

Il decreto prevede un’intesa con la Conferenza unificata per il Dpcm di determinazione dei requisiti di onorabilità, professionalità e autonomia dei componenti degli organi amministrativi e di controllo di società a controllo pubblico. Accordo anche per il decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze, che definisce gli indicatori dimensionali quantitativi e qualitativi per la classificazione delle società a controllo pubblico, e per quello del ministero del Lavoro che disciplina le modalità di trasmissione dell’elenco del personale eccedente.

Stando ai Rapporti annuali del ministero dell’Economia, comunque, il 61,2% delle partecipate pubbliche ha meno di 10 dipendenti (il 23,8% non risulta addirittura avere addetti). Per quel che riguarda il fatturato, invece, il rapporto scritto dall’allora commissario alla spending review Carlo Cottarelli (sempre sulla base dei rapporti annuali Mef) ha calcolato che il 34,6% delle partecipate si ferma sotto al milione, mentre un altro 34% (in maggioranza società piccole o piccolissime, presumibilmente) non aveva comunicato dati. Insomma, i pochi fari nella nebbia permettono di indicare che i parametri dimensionali mettono a rischio intorno al 60% delle partecipate, cioè circa 5mila su 8mila.

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