Mario Dal Co (consigliere Innovazione PA): Nascerà una burocrazia leggera

“Oggi la strada dell’efficienza e dell’innovazione passa dall’utiizzo della rete”

Pubblicato il 04 Mag 2009

Interoperabilità fra le varie amministrazioni, trasparenza,
velocità. Il sogno di una macchina pubblica più leggera si
avvicina, ma la strada è ancora lunga. Eppure sappiamo già che la
Rete è un punto di arrivo in quanto struttura in grado di portarsi
dietro trasparenza e accessibilità. Ne parliamo con Mario Dal Co,
consigliere per l’innovazione della PA, uomo di fiducia del
ministro Brunetta.
Partiamo dal riavviamento della Commissione
sull’Innovazione nelle Regioni e negli enti Locali: cosa comporta
per il rapporto con gli enti locali?
Si tratta di una
risposta all’esigenza di “entrare nel merito” dei progetti
del Piano e-gov2012. I progetti coinvolgono direttamente (come nel
caso della sanità, delle anagrafi, delle scuole) Regioni ed enti
locali. Oppure li coinvolgono indirettamente, come nel caso della
giustizia e della sicurezza, perché la domanda dei cittadini e
delle imprese si esprime con forza a livello locale e le
interazione dei servizi della amministrazioni centrali con quelle
locali sono ormai strettissimi. Ma di fatto non esiste una
distinzione né logica, né tecnologica, tra locale e centrale
quando si considera l’erogazione dei servizi. Questa distinzione
è rilevante solo per la responsabilità dei diversi procedimenti e
della gestione delle risorse: ma l’output, ossia il concreto
servizio erogato, è l’esito di un’interazione complessa che
coinvolge le amministrazioni richiedendone l’interoperabilità
come regola di funzionamento.
E a che punto siamo con
l’interoperabilità?
Non siamo affatto nella felice
condizione di poterne disporre: le amministrazioni continuano a
chiedere al cittadino una sequenza di procedure non integrate, non
allineate, non comunicanti, ridondanti: nella maggior parte dei
casi il principio della Bassanini di non richiedere al cittadino
ciò che l’amministrazione conosce già, perché è un dato in
suo possesso, viene applicato in via del tutto marginale: il
principio che le diverse amministrazioni si parlino e si scambino i
dati, in modo da richiedere solo le variazioni, quando sono
rilevanti, non si è affermato. Per la PA italiana, intesa come
insieme di amministrazioni che collaborano per erogare i servizi ed
effettuare i controlli e dare il rendiconto delle proprie
attività, la rete ancora non esiste.
Questo ha dei costi?
Prendiamo la regolarizzazione delle colf di paesi non comunitari.
Occorre presentare un certificato di abitabilità, per il quale il
Comune, che riceve l’Ici sugli immobili, ha accesso al catasto
degli stessi, commisura l’imposta sulla spazzatura e la tariffa
dell’acqua sulla consistenza dell’immobile stesso, non accede
ai dati in proprio possesso, ma chiede al cittadino di
comunicarglieli per dargli il certificato che viene scritto ex novo
sulla base dei dati già noti: il costo della pratica in termini di
ore perdute tra cittadino e dipendenti pubblici, è di circa 4 ore,
pari a poco meno di 100 euro per pratica. Si tratta di un costo del
tutto inutile, ed è solo una piccola parte degli oneri complessivi
riferibili alla regolarizzazione della posizione di una colf.
Oppure prendiamo le prenotazioni delle visite specialistiche e
delle analisi di laboratorio. Le Asl e le Regioni più avanzate
stanno investendo nei Centri Unici di Prenotazione, con spese
rilevanti e risultati discutibili. Infatti il costo
dell’integrazione dei Cup tra diverse Asl è elevato e, pur
essendo un servizio importante, il grosso delle transazioni avviene
su base territoriale ristretta. Ciò significa che i costi salgono
man mano che si integrano servizi sempre più “larghi” sotto il
profilo territoriale, mentre il loro utilizzo si riduce. In altre
parole l’integrazione dei Cup presenta diseconomie di scala
rilevanti, uno dei motivi principali per cui l’integrazione dei
Cup incontra difficoltà.
Cosa dobbiamo fare?
La soluzione, in epoca di sviluppo dei servizi di rete, sarebbe
facile e da molti auspicata. Non investire in servizi ad hoc, che
presentano questi inconvenienti, ma rendere disponibili ai
cittadini i dati sulle “code” di accesso ai diversi servizi,
lasciando al cittadino stesso la facoltà di fare l’arbitraggio
tra i servizi stessi, scegliendo quello con minore coda o quello
che, pur non essendo il più rapido nell’accesso, è tuttavia il
più vicino geograficamente. Naturalmente scelte di questo tipo
richiedono non solo una capacità di analisi tecnica, che è il
compito tradizionalmente svolto dalla Commissione, ma anche una
capacità propositiva e di indirizzo, che è la nuova esigenza a
cui la Commissione deve rispondere.
A quale esigenza si riferisce?
Suggerire al decisore politico soluzioni meno onerose e più
efficienti, resistendo alla pressione delle aziende che, nel
mantenere posizioni consolidate, difendono margini di profitto e
posizioni di rendita, ma non aiutano la crescita di diffusione e di
credibilità degli strumenti di e-government interattivi. E questi
strumenti sono oggi poco diffusi nel nostro paese, per vari motivi,
non ultimo l’approccio “tecnologico” che
l’informatizzazione dei processi amministrativi ha sempre avuto
nel nostro paese. La strada dell’efficienza e dell’innovazione
passa, oggi, per l’utilizzo di tecnologie di rete e di
interazione pervasive, rapide e capaci di promuovere la trasparenza
delle amministrazioni e la semplicità delle transazioni. È un
ulteriore passo verso l’utilizzazione di interfacce semplici, con
le quali colloquiare con gli uffici, attingere rapidamente ai dati
utili per effettuare le scelte.
A che punto siamo nel processo innovativo?
Facciamo un altro esempio preso dalla sanità, anche qui vita
vissuta. Dalle regioni del Mezzogiorno vengono molti cittadini a
curarsi in ospedali specializzati del Centro Nord. Questo processo
è prevalentemente guidato, come la catena migratoria studiata dai
demografi, dalle informazioni bocca a bocca assolutamente
imprecise, che si trasmettono le persone l’una con l’altra. Non
è necessariamente lo specialista a cui ci si riferisce, ma alla
buona struttura ospedaliera in cui quello specialista lavora. La
rete non viene usata per niente: tutto si svolge con un passa
parola all’antica.
Dove impatta l’utilizzo della tecnologia?
La trasparenza delle informazioni in rete aiuterebbe enormemente,
con un salto di efficienza e una riduzione dei costi notevoli.
Basterebbe che ogni struttura pubblicasse in modo chiaro i proprio
servizi, con le liste di attesa, le rassegne stampa, le frequenze.
E basterebbe che i medici di base e gli ospedali potessero
effettuare consulti online con le strutture di destinazione, prima
di mandare i pazienti in giro turistico per l’Italia della
speranza. Costo del teleconsulto, in epoca di Skype, praticamente
zero: si tratta di diffondere la pratica e di renderla accessibile
agli ospedali e ai medici e delle aree marginali. Un tipico
progetto di riduzione del digital divide, che potrebbe essere tra i
terreni più interessanti di lavoro della Commissione.

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