PA DIGITALE

Open data sì, ma prima innovare il procurement

La PA non può più permettersi di comprare innovazione usando il medesimo impianto normativo col quale si comprano cemento armato e palette per i vigili urbani. E’ ora di una svolta

Pubblicato il 27 Mag 2012

Paolo Colli Franzone, Netics

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La premessa è d’obbligo: il paradigma di “Open Government” non è in discussione. Ciò che rende perplessi è l’immenso potere taumaturgico attribuito agli Open Data: da qualche tempo, non si parla d’altro e si tende a immaginare che tutto ruoti intorno a queste due parole diventate mantra. Col rischio di creare, dopo la “bolla” dell’e-government (2001), un insieme esagerato di aspettative intorno a un fenomeno che – per quanto centrale – purtroppo è ancora troppo immaturo.
Come dimostrano tutti i rapporti che fotografano periodicamente la PA digitale italiana, sono ancora numerosissimi gli enti le cui infrastrutture IT si dimostrano inadeguate, sottodimensionate, in molti casi ai limiti dell’obsolescenza. Così come è facile – purtroppo – constatare come vincoli normativi e non poche cattive abitudini sedimentate rendono arduo il compito di chi, consapevole del valore o anche solo per “adeguarsi al trend”, decide di mettere online dataset consistenti e aggiornati.

Per non parlare della esasperata frammentazione delle basi dati e dal non infrequente disallineamento delle stesse, persino all’interno di una singola amministrazione. Queste sono cose che chiunque abbia un minino di familiarità con la PA italiana conosce perfettamente. Lo dimostra la difficoltà con la quale si affrontano operazioni di incrocio di basi dati, ad esempio a fini tributari.
Rendere “Open” dataset frammentati e/o disallineati, non bonificati in precedenza, “pieni di rumore”, potrà essere un’operazione “alla moda”. Ma di sicuro non genererà valore alcuno. “Open Data” è qualcosa che dovrebbe essere messo al secondo posto in un ordine di priorità da affrontare. Dove al “numero uno” continua a rimanere quell’insieme di partite rimaste sospese dopo l’insediamento del nuovo governo e l’insediamento della cabina di regia e dei gruppi di lavoro ad essa asserviti.

Si parla poco, troppo poco, di DigitPA e del suo futuro; così come non è chiarissimo nuove gare. Si sono perse le tracce della roadmap per la piena attuazione del Cad latitano le linee guida sul Cloud, nessuno sa “chi è al timone” della Sanità Elettronica.
Il mercato IT è in affanno. Concentrato sui bandi di ricerca industriale per le Smart Communities, che rappresentano ora l’unica chance in un contesto complessivo di “maxi gare” immolate sull’altare del diritto amministrativo, di “piccole e medie” gare che ancora finiscono inevitabilmente in rissa al massimo ribasso. Questo governo ha le possibilità e le capacità di risolvere il problema del “procurement divide”. La PA non può più permettersi di comprare innovazione usando il medesimo impianto normativo col quale si comprano cemento armato e palette per i vigili urbani. Ce lo si dice da anni, ma nessuno se ne occupa più. Distratto dai mantra e dalle mode, dalle parole d’ordine up-to-date.

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