VERSO IL CDA DEL 6 DICEMBRE

Telecom Italia, fine anno col “botto”

Scorporo della rete e offerta del magnate egiziano Nagub Sawiris le due questioni chiave: sul tavolo c’è il futuro dell’azienda. E intanto Passera auspica un’intesa con la Cdp

Pubblicato il 26 Nov 2012

Mila Fiordalisi

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Erano anni che non si avvertiva tanto fermento attorno a Telecom Italia. E che qualcuno bussasse di nuovo alle porte dell’azienda, chiedendo di poter entrare in quota e addirittura con una quota rilevante, era davvero difficile da immaginare.

Era il 2007 quando Telefonica entrava in scena e nasceva Telco – la holding cui fa capo il 22,4% di TI – che vede in campo la compagnia di tlc spagnola (con il 46,18%), e i tre soci finanziari Generali (30,58%), Intesa Sanpaolo e Mediobanca in quota con l’11,62% ciascuno.

Il “cavaliere” spagnolo – seppur a suo tempo avversato da molti in nome dell’italianità della compagnia – ha permesso di poter contare su nuove risorse ed evitare il patatrac. E a rimettere sulla rotta la nave ci ha pensato nel corso di questi cinque anni Franco Bernabè, prima Ad e oggi presidente esecutivo affiancato dall’Ad Marco Patuano. La strategia Bernabè, fortemente orientata all’abbattimento del debito, ha dato buoni frutti. Anche in considerazione della crisi economica e dei ricavi sempre più risicati in particolare nel comparto del fisso (fenomeno che riguarda tutte le principali compagnie di Tlc al mondo). Ma sulle spalle della creatura – dissanguata progressivamente dai capitani di ventura che si sono susseguiti alla plancia di comando dalla stagione dell’opa fino alla fine dell’era Tronchetti Provera – pesa ancora un debito elefantiaco. I soci non hanno alcuna intenzione di sborsare altre risorse, anche alla luce della progressiva svalutazione del titolo. E anzi, se potessero veder remunerato il loro impegno sarebbe meglio. Su questa linea sono orientati i fautori dello scorporo della rete.

Vero è che Brasile e Argentina si sono dimostrate galline dalle uova d’oro. E non è un caso se il magnate egiziano Nagub Sawiris – l’uomo che prima ha bussato alla porta di Cesar Alierta, il numero uno di Telefonica (il quale però non ha accettato patti col “Faraone”) e poi a quella di Franco Bernabè – ha offerto sul piatto fino a 3 miliardi per una ricapitalizzazione di TI finalizzata all’acquisizione dell’operatore brasiliano Gvt (messo in vendita da Vivendi a 7 miliardi, quindi c’è da capire come TI possa imbarcarsi concretamente nell’operazione). L’entrata in scena di Sawiris, checché se ne farà, rappresenta la “sorpresa” di fine anno. E poco contano le speculazioni (dietro Sawiris ci sarebbe la mano di Carlos Slim e persino di Vodafone) e gli andirivieni di posizioni che si sono alternati in questi giorni (Patuano ha prima chiuso all’ipotesi di ricapitalizzazione per poi riaprire in nome dell’operazione sud-americana).

Di qui al 6 dicembre le carte potrebbero essere sparigliate ancora: solo in occasione del cda sarà possibile deliberare formalmente sul da farsi. E non è detto che si prenda una decisione definitiva nemmeno in quella sede. Fra l’altro sul tavolo di Mediobanca e Intesa SanPaolo è arrivata anche un’altra proposta, quella dell’ipotesi di ingresso in Telco del fondo F2i capitanato da Vito Gamberale disposto a mettere sul piatto fra i 500 e i 700 milioni. Ipotesi smentita dal portavoce di Gamberale. Ma anche in questo caso le verità lasciano il tempo che trovano.

Sul tavolo c’è parecchia carne al fuoco, dunque. E non a caso il 22 novembre si è tenuto un comitato esecutivo per fare il punto in vista dell’imminente cda. Fra le priorità c’è la questione scorporo della rete. Si farà? Con quali modalità? Si darà vita ad una newco insieme con Cdp? Il ministro dello Sviluppo economico Corrado Passera auspica che “l’Italia si doti di una rete di alta qualità in poco tempo. E spero che riusciremo a convincere Telecom a fare una combinazione forte con Cdp”. Non è da escludersi una “replica” del modello britannico Open Reach ossia un’evoluzione di Open Access. L’incontro a porte chiuse fra il presidente di Agcom Angelo Marcello Cardani e il presidente esecutivo Franco Bernabè avrebbe avuto all’ordine del giorno proprio la discussione dei “modelli” possibili in vista della regolamentazione dell’accesso alle nuove reti e del rispetto del principio di equivalence on input oltre che di ouput, come richiesto dalla Ue per concedere benefici regolamentari (prezzi fissi per l’unbundling del rame e non orientati al costo per l’accesso alla fibra).

L’equivalence of input è un elemento chiave della questione, su cui non a caso ha acceso i riflettori – in occasione del convegno Between di Capri – il commissario Agcom Maurizio Dècina. Pur parlando a titolo di esperto e non di membro dell’Authority, Dècina ha ipotizzato uno scenario di una “rete aperta che offre in wholesale tutti gli elementi passivi degli impianti di rete in rame e in fibra a tutti i concorrenti, TI e olo, rispettando il principio della equivalence of input”. “La società della rete – ha spiegato Dècina – vende in wholesale a prezzi regolati gli elementi di rete del cosiddetto Mercato 4, mentre i concorrenti vendono a prezzi deregolati i servizi retail ai clienti finali”. Per Dècina il valore della rete dipende da una miriade di parametri oltre al semplice numero di doppini: personale dedicato, debiti, investimenti, ricavi, tasse, ritorni, distribuzione degli utili.

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