Telco2: soldi cinesi per la Ngn di Telecom?

A pochi giorni dal rinnovo del patto di sindacato il governo Berlusconi studia le contromosse per un’uscita di scena di Telefonica. Il vice-ministro Romani è volato in gran segreto in Cina

Pubblicato il 29 Set 2009

I riflettori di Palazzo Chigi puntati su Telecom Italia e sulla
“convivenza” con il colosso spagnolo Telefonica, “sempre
considerata ‘difficile’ dal governo presieduto da Silvio
Berlusconi”, nota Claudio Tito di Repubblica. E ora, a un mese
dalla scadenza per rinnovare il patto di sindacato di Telco – la
finanziaria che controlla il gruppo – il premier sta facendo
pesare tutta la sua “moral suasion” sui principali partner
italiani dell’azienda.

“Vuole ‘garanzie’ sulla ‘italianità’ dei telefoni. E
sicuramente sul controllo della rete”, scrive Tito. “Anche
perché, a inizio settembre, il viceministro per le Comunicazioni,
Paolo Romani, è volato in gran segreto in Cina. Con un compito
preciso: far valere la mediazione dell’esecutivo italiano e
individuare risorse da mettere a disposizione dell’indebitata
azienda guidata da Franco Bernabè”.

Romani ha incontrato i suoi omologhi cinesi e alcune delle più
grandi banche di Pechino per studiare un finanziamento finalizzato
all’ammodernamento della rete Telecom, un progetto che richiede
subito 800 milioni di euro e che l’italiana (indebitata per 35
miliardi) non può trovare da sola. In cambio della disponibilità
degli istituti di credito cinesi, Telecom (che in Cina ha già una
partnership con la Huawei) metterebbe a disposizione la sua
tecnologia.

Ma le risorse del “Far East” non servono solo a rendere più
moderna la rete Telecom. Sono considerate da Palazzo Chigi, spiega
Tito, anche come “grimaldello per ‘regolare i conti’ con
Telefonica. Il Cavaliere non ha mai nascosto di temere le mire
espansionistiche di Cesar Alierta. ‘Telecom deve rimanere
italiana’ è il suo leitmotiv”.

Soprattutto, deve rimanere italiana la rete, considerata una
“infrastruttura di interesse strategico, una questione di
‘sicurezza nazionale’. Anche perché nel prossimo futuro,
quando si arriverà alla ‘nuova generazione’, sui cavi
telefonici ‘passerà’ anche la televisione. Un settore
particolarmente a cuore al presidente del Consiglio. L’ordine,
quindi, è netto: o Telecom resta italiana o si ‘scorpora’ la
rete. Soprattutto se viene ammodernata”. Del resto, lo aveva
detto anche Bernabè una decina di giorni fa in occasione di una
Convention aziendale: “Non ci faremo scippare la nostra
infrastruttura”. Tuttavia, “liquidare per intero il partner
spagnolo non è facile”, nota Tito. “Il 10% di Telecom vale
circa 3 miliardi. Ma per uscire dal gruppo sicuramente gli spagnoli
reclameranno di più”. Il Cavaliere ha allora lanciato “segnali
inequivocabili” a Generali, Mediobanca e Intesa, che insieme alla
Findim di Franco Fossati (detentrice del 5% di Telecom)
“potrebbero essere chiamati a uno sforzo supplementare. Sapendo
che, in caso di necessità, è pronta pure la sponda cinese”.

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