DISSERVIZI

Poste: caos raccomandate dopo la riorganizzazione

Introdotti i Pos elettronici per gestire le mancate consegne. Ma la concentrazione dei punti fisici di consegna crea file a dismisura agli sportelli. Così la tecnologia diventa un boomerang

Pubblicato il 05 Set 2013

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Non si può negare che la gestione di Massimo Sarmi abbia risanato le Poste dal punto di vista finanziario. Grazie alla formidabile rete di 14.000 sportelli diventati soprattutto erogatori di servizi finanziari, è riuscito a fare concorrenza alle banche e a introitare redditività altrimenti improponibile con il tradizionale servizio postale. Si è poi lanciato in altri business come la telefonia mobile o l’e-commerce, al punto da proporre una piattaforma di vendite online addirittura alle autorità cinesi.

Niente di male – anzi, tutto molto bene – se lo sforzo tecnologico ed organizzativo per riorientare Poste verso la finanza ed i servizi avanzati non fosse andato a scapito della tradizionale attività di servizio postale. Approfittando anche delle sacche del servizio universale ancora protette dalla concorrenza.

È il caso della posta tradizionale di cui siamo tornati ad essere lo zimbello internazionale come eravamo un tempo, ma anche delle raccomandate. Recentemente il servizio è stato riorganizzato. O meglio, si è deciso scientemente di peggiorarlo a tavolino, con impegno degno di migliore causa. A partire dai mancati recapiti.

Sembrerebbe, infatti, che non tutti abbiano un portiere a stipendio, che ci siano famiglie in cui tutti hanno un lavoro o che pensionati e disoccupati abbiano persino l’abitudine di uscire di casa di tanto in tanto.

Da qualche mese il postino è stato dotato dei più moderni Pos. Se non gli viene risposto, lascia in cassetta una strisciata di carta stampata e non più una cartolina scritta a mano come un tempo, invitando a passare all’ufficio postale a prendere la corrispondenza non consegnata. Fino a qualche tempo fa, una raccomandata non recapitata si poteva recuperare in uno sportello postale più o meno vicino a casa. Ora non più. Bisogna cambiare abitudini e andare ben più lontano.

Ma già dalla lettura della “strisciata” si ingenera una prima confusione perché l’ufficio “titolare” della spedizione non è lo stesso dove si andrà a ritirare la raccomandata. E i due indirizzi sono scritti quasi con lo stesso carattere. Anzi, quello “titolare” della spedizione (non dove si deve andare a prendere la lettera) appare scritto in alto per primo. Le conseguenze per i “clienti/sudditi” appaiono evidenti, anche se non sembrano esserlo state per il “genio” che si è inventato una simile “comunicazione”. Infatti, sono in molti ad andare a fare la fila all’ufficio sbagliato.

Ma la rabbia monta quando ci si accorge che l’indirizzo dove andare può essere persino a mezzora di strada o addirittura di più da dove si abita. Tutto questo perché dopo la riorganizzazione le raccomandate si possono ritirare solo in pochi posti: per risparmiare si sono fortemente ridotti i punti di consegna. E chi se ne frega dei “cittadini/sudditi”. Col risultato, ad esempio, che ieri all’ufficio di via Marmorata a Roma, ci segnala un nostro lettore, ad un certo punto si è formata una fila di 110 malcapitati in attesa di ritiro. “Sportello amico?” pure propaganda. Se non mirata a migliorare il servizio ma solo a tagliare i costi, l’innovazione tecnologica può essere un boomerang.

È ammissibile tutto questo? Forse anche su questo Agcom dovrebbe vigilare. In attesa che la tecnologia ed una legislazione e procedure amministrative meno “cartacee” azzerino la necessità di raccomandate.

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