L'EDITORIALE

Letta, Ponzio Pilato o anima candida?

Il presidente del Consiglio se ne lava le mani. Ma davvero crede che Telefonica gioverà alla crescita di Telecom Italia? Non è un problema di passaporto dei capitali, ma della strategia industriale di un Paese

Pubblicato il 25 Set 2013

Gildo Campesato

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“Guardiamo, valutiamo, vigileremo sul fronte occupazionale, ma bisogna ricordare che Telecom è una società privata e siamo in un mercato europeo. I capitali europei potrebbero aiutare Telecom a essere migliore rispetto a come è stata in questi 15 anni”. Sono le parole, davvero sorprendenti, del presidente del Consiglio Enrico Letta. Le uniche titubanti frasi, estorte dai giornalisti, che è riuscito a pronunciare su un caso così clamoroso come quello di Telecom Italia.

Ieri, avevamo scritto che, come prima mossa, il governo avrebbe almeno dovuto convocare il presidente di Telefonica Cesare Alierta e chiedergli conto di cosa voglia fare di Telecom Italia una volta che le banche italiane gli hanno lasciato prendere il controllo della scatola cinese che controlla Telecom Italia. Per un pugno di euro. All’insaputa del governo? Difficile crederci, almeno che il governo non conti proprio nulla.

I piani di Alierta nessuno li sa. L’unica certezza, perché glielo impongono le autorità antitrust e delle telecomunicazioni brasiliane, sarà di cedere Tim Brasil, la proiezione internazionale più importante posseduta da Telecom Italia, quella che dà maggiori soddisfazioni economiche e più promettenti possibilità di crescita. In quel mercato, infatti, Telefonica è in diretta competizione con Telefonica.

Liquidatorio, non a caso, il giudizio degli azionisti indipendenti: “Telecom viene trasferita a sostanziale vantaggio di pochi, senza alcuna considerazione per la maggioranza degli azionisti. Pacchetti in grado di conferire il controllo di fatto finiscono nelle mani di azionisti in conflitto con l’interesse sociale. È questo il caso di Telefonica, un concorrente diretto di Telecom Italia in Argentina e Brasile, che rischia di forzare Telecom Italia alla dismissione di asset preziosi per il rilancio della società”.

Per Letta, invece, i capitali di Telefonica dovrebbero essere un prezioso viatico per il futuro di Telecom. Ma quali capitali? Quali progetti? Sinora non se ne sono visti, se non pochi spiccioli. Usati per acquisire il controllo di Telco. Hanno incassato le banche, non Telecom Italia che si ritrova con tutti i suoi guai finanziari, con in più alla testa un azionista-competitor in Brasile e Argentina e senza strategie di crescita in Italia (quali on. Letta?).

L’Italianità non c’entra e nemmeno i passaporti dei capitali. C’entra che, con Telefonica sul ponte di comando, Telecom avrà un futuro ancora più difficile. Perché Telefonica non è entrata per una strategia industriale di crescita in Italia, ma per tutelare (legittimamente) i suoi interessi in Brasile. E non si vede per quali ragioni deva accelerare investimenti e sviluppo, presa com’è da un indebitamento ancora maggiore di quello di Telecom e in una dura partita sulla fibra contro i cable-tv operator in Spagna.

E poi, quando si parla di occupazione, non ci sono solo i dipendenti di Telecom in gioco. Attorno a Telecom ruota un intero ecosistema fatto di fornitori, ricerca universitaria e non, aziende tecnologiche, investimenti stranieri che sono in Italia solo perché qui stanno i poteri decisionali e di acquisto di TI, aziende italiane che hanno proiezione in Brasile e Argentina grazie al traino di Telecom Italia.

Tutto questo rischia di essere buttato a mare. E non sarà certo lo scorporo della rete a salvarli.

Presidente Letta, accetti il nostro consiglio di ieri. Faccia una telefonata ad Alierta e si faccia spiegare bene come stanno le cose. Quelle vere, però. Dopodiché, si ponga il problema se Telefonica è effettivamente in grado di garantire all’Italia quella difesa degli asset strategici di cui, giustamente, lei si dice difensore in un’altra dichiarazione di questa mattina.

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