IL COMMENTO

Il grimaldello Opa non è legge “ad aziendam”

Le modifiche normative che domani dovrebbero essere varate dal Consiglio dei ministri varranno per Telco, ma serviranno ad impedire scorribande finanziarie nella più totale opacità a danno dei piccoli azionisti

Pubblicato il 26 Set 2013

Gildo Campesato

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Domani il governo dovrebbe presentare le modifiche alla legge sull’Opa. L’obiettivo è quello di cambiare una normativa che oggi individua una soglia massima predeterminata (30%) oltre la quale scatta l’obbligo di estendere l’offerta di acquisto all’intero azionariato di una società quotata.

Tale limite si sta mostrando troppo alto e troppo rigido rispetto ai poteri della Consob per impedire, ad esempio, che un concorrente come Telefonica acquisisca il controllo di fatto di Telecom Italia con un esborso finanziario irrisorio (850 milioni quando, per fare un esempio, il 23% di Vodafone Italia è appena passato di mano per 3 miliardi di euro) ,nel chiuso di una trattativa notturna dentro un salotto ex buono, lasciando a bocca asciutta la stragrande maggioranza degli azionisti ed eludendo nei fatti lo spirito con cui la legge sull’Opa era stata varata.

Con l’odierno impianto normativo, lo ha detto chiaramente il presidente Giuseppe Vegas, la Consob ha le mani legate. L’intenzione del governo sembra quella di promuovere una normativa più flessibile, in cui l’obbligo di Opa non scatti al raggiungimento di una soglia predeterminata e soltanto in quel caso, bensì quando appaia evidente che gli acquisti mirano al controllo di fatto di una società.

Da questo punto di vista, il caso Telecom Italia è da manuale: col 22,4% (la quota in possesso di Telco) si blinda facilmente una società alle cui assemblee partecipa normalmente il 50% del capitale, anche per la farraginosità delle procedure di partecipazione e di formazione delle liste. Non è certo per generosità o voglia di scialacquare che Telefonica ha pagato a Mediobanca, Generali ed Intesa 1,1 euro ad azione, quasi il doppio di quello che i titoli costavano sul mercato.

Se la nuova legge fosse approvata entro quest’anno, essa potrebbe essere fatta valere anche al “caso Telefonica” senza che gli azionisti di Telco possano lamentare un effetto di “retroattività”: la presa di Telefonica su Telco (la scatola che detiene il comando di Telecom) avverrà attraverso la trasformazione delle azioni di classe C in azioni con diritto di voto, ma i patti parasociali comunicati al mercato prevedono che essa possa scattare soltanto dal primo gennaio 2014.

È tuttavia evidente che l’accelerazione legislativa sull’Opa così come l’annunciata modifica del golden power hanno un chiaro significato di iniziativa “ad aziendam” e di corsa ai ripari dell’ultimo momento. Tutto ciò, ovviamente, non servirà all’immagine già logorata dell’Italia sui mercati finanziari internazionali.

Non è però nemmeno positivo dare dell’Italia l’immagine di un Paese a saldo, buono per tutte le scorribande finanziarie. Quando gli spagnoli hanno deciso di assumere il controllo di Telecom sapevano benissimo la delicatezza, la molteplicità delle implicazioni dell’operazione a partire dalle tematiche della sicurezza, della strategicità del settore, dell’importanza di un’azienda come Telecom Italia.

Tuttavia, si sono mossi come se tutto questo non contasse. Non hanno proposto un piano industriale, non hanno detto cosa vogliono fare di Telecom, non hanno spiegato quali sono i progetti industriali per l’azienda di cui intendono prendere il controllo, non hanno speso una parola sul futuro della rete e delle nuove reti. Tutto questo nonostante sei anni di vicinanza abbiano mostrato scarsità di sinergie industriali tra due gruppi ed anzi abbiano fatto emergere con chiarezza l’esistenza di interessi e di visioni contrapposti (come hanno sottolineato i consiglieri indipendenti di Telecom), in particolare in Brasile ed Argentina.

Probabilmente perché le idee in merito di Telefonica sono molto scarse, se non approfittare della volontà dei soci italiani di uscire da Telco e di lasciare andare le cose come stanno; o meglio, puntare a vendere il Brasile (cosa che fa comodo a Telefonica) piuttosto che impegnarsi in quell’aumento di capitale di cui Telecom ha assoluto bisogno. Vedremo quale sarà la posizione dei consiglieri di Telco quando il 3 ottobre Bernabè presenterà al cda il nuovo progetto industriale e chiederà risorse: per portarlo avanti, ma anche per fronteggiare la spada di Damocle del downgrade di Moody’s.

Il passaporto dei compratori, dunque, non c’entra; così come non c’entra il nazionalismo contro gli stranieri. Il problema è se lasciare che un competitor acquisti un’azienda del valore e della strategicità di Telecom Italia con tutta la sua rete non per farla crescere ma per ridimensionarla e depotenziarla a proprio vantaggio. E senza pagarne il giusto prezzo a tutto il mercato.

Certamente, la tempistica della nuova legge sull’Opa non è delle migliori, per dirla con un eufemismo. Ma a volte bisogna sapere scegliere il male minore. Che poi tutto male non è se serve a difendere dalla dissoluzione un patrimonio industriale di tutto il Paese (troppo spesso sottovalutato) ma anche a rendere più sano un mercato in cui troppe volte i piccoli azionisti sono stati bastonati. I tempi sono stretti. Il Parlamento lascia perdere le divisioni fra i partiti e, per una volta, almeno su questo si mostri compatto.

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