LA SFIDA

Primarie Pd, ecco le proposte “digitali” dei candidati

La sfida dell’8 dicembre si giocherà anche sul terreno dell’innovazione. Matteo Renzi: “Bisogna semplificare, avanti tutta sugli open data”. Gianni Cuperlo: “Promuovere investimenti pubblici sul modello di Usa e Germania”. Pippo Civati: “Serve più cultura digitale”

Pubblicato il 02 Dic 2013

Federica Meta

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L’urgenza di avviare in Italia una rivoluzione digitale mette d’accordo i candidati alle primarie del Pd che dedicano una corposa parte dei loro programmi al tema dell’innovazione come leva per uscire dalla crisi economica e rimettere il paese sulla strada delle crescita economica e dell’inclusione sociale.

Per Matteo Renzi, grande favorito a prendere il posto di Guglielmo Epifani alla guida del Partito democratico – l’Italia deve riscoprire la “semplicità” nel sistema fiscale – incomprensibile persino per gli addetti ai lavori –, in quello amministrativo e normativo dove “abbiamo una produzione legislativa che affolla le aule di tribunale per i ricorsi”. “La rivoluzione digitale e l’accessibilità alla rete possono essere una parte della soluzione, solo a condizione di modificare la mentalità dei dirigenti pubblici – spiega Renzi -. Mettere online tutte le spese dello Stato e di tutte le amministrazioni locali consente un controllo costante dell’opinione pubblica. Per essere credibili, però, dobbiamo iniziare da noi stessi. Dai nostri comuni, dalle nostre amministrazioni. Inseguire la semplicità significa che il Pd proporrà progetti di riforma sul fisco, sulla giustizia e sulla pubblica amministrazione, discussi in tempi certi con i circoli, con gli amministratori, con i parlamentari e aperti alla discussione tramite vecchi canali e nuove tecnologie”.

Si tratta di azioni che non solo consentirebbe allo Stato di rispettare i tempi delle persone – per esempio non chiedendo più di produrre un documento di cui sia in possesso un’altra amministrazione pubblica – ma soprattutto di facilitare gli investimenti stranieri in Italia. “Oggi la confusione normativa, burocratica, fiscale e i ritardi biblici della giustizia costituiscono il primo ostacolo a investimenti stranieri e quindi alla creazione di nuovi posti di lavoro – evidenzia il sindaco di Firenze -. In un mondo globale, il problema non è se l’imprenditore è italiano o straniero, ma se crea valore alle aziende oppure no, se crea posti di lavoro oppure no. L’italianità da difendere non è il passaporto dell’azionista, ma la qualità dei prodotti, l’investimento e l’occupazione.

Più incentrata sulla necessità di promuovere gli investimenti pubblici la mozione di Gianni Cuperlo, secondo cui “la sfiducia diffusa nel ruolo dello Stato ha portato a sottovalutare il ruolo cruciale che esso ha giocato nei casi più rilevanti di crescita guidata dall’innovazione”. Cuperlo porta l’esempio di Stati Uniti e per la Germania, dove i governi garantire condizioni favorevoli all’innovazione o investimenti in capitale umano, ma hanno fornito e continuano a fornire supporto diretto all’attività innovativa.

“Investire direttamente in ricerca di base e applicata e promuovere il trasferimento tecnologico dagli enti di ricerca al mondo dell’impresa è una condizione essenziale per rilanciare la crescita, troppo a lungo sottovalutata dalle politiche pubbliche – sottolinea – Occorre inoltre valorizzare i punti di forza del nostro sistema produttivo, raddoppiare gli sforzi per la promozione di settori come l’agroalimentare, con tutte le filiere di terra e cibo e la meccanica di precisione, che non hanno fatto argine alla crisi; ripensare logistica e sostenibilità di comparti tradizionali che invece non hanno retto l’urto, ma restano strategici, come la siderurgia o la chimica”. In che modo? Mettendo in rete l’economia, figlia della rivoluzione digitale “che oggi consente di ricomporre la mente e la mano superando definitivamente un secolo di cultura fordista”.

In questo contesto Internet non è solo un’innovazione tecnologica, ma sociale, un modo diverso di entrare in relazione, di ripensare la produzione. “È già il tempo dell’internet delle cose e questa è un’opportunità straordinaria per il Paese del ‘saper fare’ per eccellenza – ricorda Cuperlo – Dobbiamo innalzare il contributo digitale al Pil, mobilitando i grandi comparti dell’economia nazionale, dal design alla moda, all’ arredamento, all’enogastronomia. L’Italia deve puntare alla prima fila nelle produzioni intelligenti e nelle nuove culture digitali”. Ma per fare questo serve una politica che abbia lo sguardo lungo e attrezzarsi per sostenere le imprese che autoproducono o co-producono il proprio software, specie se lo fanno attraverso soluzioni open source che garantiscono accesso diffuso. “Con un patrimonio culturale e storico come il nostro il digitale può avere un impatto dirompente nella selezione dell’offerta culturale; nella produzione di servizi legati al design; nel ripensare vocazione e sviluppo dei media a partire da quelli pubblici; fino alle soluzioni di realtà virtuale per il nostro patrimonio artistico – conclude – Anche la scuola può ripensare il rapporto col mondo del lavoro prevedendo, sull’esempio della riforma tedesca, la sperimentazione di forme di artigianato digitale”.

Pippo Civati evidenzia come il digitale debba essere una componente della politica a tutto campo. “Della politica industriale come delle riflessioni sui diritti fondamentali, delle nuove forme partito come delle relazioni internazionale- sottolinea – E in questo l’Italia è drammaticamente indietro. Lo è soprattutto per la scandalosa impreparazione culturale della classe dirigente e forse anche per un’implicita, ma non per questo meno rovinosa, accettazione di una divisione del lavoro a livello internazionale secondo la quale il digitale è giusto che lo faccia qualcun altro, non noi italiani, ridotti al ruolo di meri utilizzatori di tecnologia (e scelte strategiche) altrui. Diventa, dunque, urgente per Civati un nettissimo cambio di rotta: “L’Italia deve non solo puntare a usare di più e meglio il digitale, ma anche a porsi l’obiettivo di diventare uno di quei paesi che non solo ha imparato a surfare l’onda digitale, ma che anche contribuisce a determinare altezza, velocità e direzione dell’onda stessa”.

Ma questo può avvenire solo con un’azione di ampio respiro che coinvolga non solo i grandi operatori telefonici, ma anche gli enti locali, le multiutility e il sistema dell’istruzione e delle Università. Su questo versante “le scuole vanno urgentemente cablate ad alta velocità, possibilmente sfruttando l’esistente rete della ricerca (la rete Garr, ad esempio) perché la rete degli edifici scolastici e accademici diventi una rete al servizio della collettività.

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