Occupazione digitale, la bomba a orologeria

A causa della prorompente e continua evoluzione della tecnologia molte persone, anche dotate di qualifiche specialistiche ma diventate obsolete, rischiano di perdere il posto di lavoro e di non avere le competenze necessarie per trovarne uno nuovo. Che forse nemmeno ci sarà

Pubblicato il 03 Feb 2014

Gildo Campesato

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Dopo anni di tunnel recessivo, l’economia mondiale si sta riprendendo: il messaggio è arrivato dal World Economic Forum di Davos. Ma c’è poco da brindare. Vi sono molte possibilità che si tratti di una ripresa jobless, senza posti di lavoro. Una ripresa a vantaggio di chi ha avuto di più (negli anni ’70 l’1% degli americani deteneva il 9% della ricchezza, oggi ne ha il 22%) e a svantaggio di quel ceto medio, collante della tenuta sociale e democratica dei Paesi occidentali, che più ha sofferto di una crisi che ha trasferito ricchezza dal lavoro alla finanza e ai detentori delle tecnologie innovative. Bankitalia disegna uno scenario simile anche da noi.

Una bomba sociale ad orologeria per i Paesi più avanzati, anche in quelli tecnologicamente di punta. Paradossalmente, a Davos il tema è stato posto con chiarezza dal ceo di Google Eric Schmidt: “Il problema occupazionale sarà quello che definirà il mondo dell’economia nei prossimi due-tre decenni”. A causa della prorompente e continua evoluzione della tecnologia, molte persone – anche dotate di qualifiche specialistiche ma diventate obsolete – rischiano di perdere il posto di lavoro e di non avere le competenze necessarie a trovarne uno nuovo. Che forse nemmeno ci sarà.

Nella previsione di Schmidt, se la tecnologia continuerà a distruggere occupazione, ci vorranno 20-30 anni per ritrovare l’equilibrio. Con la rivoluzione industriale di inizi Ottocento ce ne sono voluti molti di più. Ma è magra consolazione. Secondo l’efficace titolo dell’Economist “The effect of today’s technology on tomorrow’s jobs will be immense. And no country is ready for it”. Non credo serva tradurre.

Serve, invece, avere ben chiaro quello che ci aspetta e che in realtà sta già avvenendo. Dobbiamo prepararci. L’Italia, anche se magari non ce ne accorgiamo, ha carte importanti da giocare. Creatività, fantasia, flessibilità, conoscenze, voglia di fare non mancano. Si tratta di indirizzare nei giusti canali uno sforzo globale del Paese. Il nostro patrimonio di storia, arte, cultura, ambiente, cibo, artigianato sono un plus formidabile anche nella nuova Internet society.

È questa la vera sfida dei prossimi anni. Proprio per questo, parlare di Italia digitale significa parlare del futuro nostro e dei nostri figli.

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