Combes: “Servono politiche pro-investimenti”

Il numero uno di Alcatel-Lucent spiega al Corriere delle Comunicazioni la “roadmap” per il nostro Paese: “Nessun abbandono dell’Italia, ma la riorganizzazione è necessaria. Troppa dispersione e costi operativi eccessivi. Il futuro? Ottica e trasmissione wireless”

Pubblicato il 17 Mar 2014

Gildo Campesato

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«Alcatel-Lucent è un long term investor. Siamo presenti in Italia da moltissimi anni ed intendiamo rimanerci a lungo»: Michel Combes, l’uomo che da un anno ha preso in mano le redini del gruppo franco-americano in qualità di amministratore delegato, manda attraverso il Corriere delle Comunicazioni un messaggio rassicurante a chi nel piano di ristrutturazione che sta rovesciando il gruppo come un guanto, il cosiddetto shift plan, vede le premesse di un disimpegno progressivo che potrebbe portare ad una presenza al lumicino, se non addirittura all’uscita definitiva dall’Italia di Alcatel-Lucent.

È così mr. Combes?

Come le ho detto, siamo in Italia da moltissimi anni, abbiamo un team fortissimo nell’ottica e nelle trasmissioni wireless, abbiamo molti clienti. Lavoriamo con Telecom Italia, Vodafone e Wind fra gli altri. Siamo determinati a rimanere.

Non può negare di aver presentato un piano duro per l’Italia, con 600 occupati in meno.

Guardi, avrei potuto non dire nulla e lasciare le cose andare alla deriva. Come risultato, fra un paio d’anni ci saremmo trovati di colpo davanti ad una pesante crisi occupazionale senza prospettive. Ho preferito essere trasparente invece che cinico e nascondere i problemi. Dire subito le cose come stanno ci dà la possibilità e il tempo di affrontare i problemi occupazionali con minori tensioni. Voglio evitare drammi sociali.

Cosa intende dire?

In Italia siamo troppo frammentati, abbiamo troppi siti e siamo gravati da una struttura di supporto troppo pesante rispetto ad un fatturato che si è praticamente dimezzato negli ultimi anni. Dobbiamo riposizionare Alcatel-Lucent in Italia sui 3 siti principali: Vimercate dove concentreremo ricerca e sviluppo, Roma che sarà la base della nostra presenza commerciale e di supporto, Trieste che è la sede della manifattura ottica. In Italia abbiamo piani reali e solidi.

Tuttavia sono reali anche i tagli ai posti di lavoro.

È vero, dobbiamo ridurre di 300 unità la nostra struttura commerciale e amministrativa: ma non ci sono alternative se vogliamo dare un futuro alla nostra presenza qui. Del resto, abbiamo implementato lo shift plan con la stessa logica ovunque: la Francia non è stata trattata diversamente dall’Italia. Dobbiamo riposizionarci sulla tecnologia Dwm (wavelength-division multiplexing n.d.r.). Ma per ora non abbandoniamo del tutto la tecnologia Omsn, (Optical Multi-Service Node n.d.r.), anche per assicurare il supporto ai nostri clienti che la usano. Nel giro di qualche anno, però, l’Omsn arriverà a conclusione. Il nostro obiettivo è di spostare in outsourcing 300 dipendenti che oggi lavorano su questa tecnologia. L’obiettivo è trovare un’azienda che si impegni a riconvertire i lavoratori dando loro nuovi sbocchi occupazionali.

Qualcosa di simile avete fatto col sito di Nantes.

Il modello è quello.

È andato a spiegarlo al Parlamento italiano. Che impressione ne ha tratto?

Mi è sembrato un incontro molto positivo. Ho potuto evidenziare la mia visione sul futuro del settore, spiegare i nostri progetti, indicare come stiamo riassestando la nostra piattaforma e la focalizzazione di Alcatel-Lucent in Italia su due filoni principali: trasmissione ottica e trasmissioni mobili. Investiremo in queste due tecnologie perché sono le tecnologie del futuro. È su queste due tecnologie che puntiamo per il futuro di Vimercate.

Si aspetta un supporto da parte del governo?

Non chiedo favori per Alcatel-Lucent. È l’insieme del nostro settore che ha bisogno di politiche di sviluppo. Esse andrebbero a vantaggio dell’intero Paese e dell’occupazione. L’implementazione effettiva dell’Agenda Digitale potrebbe dare una spinta importante. In Francia, ad esempio, il governo è stato molto aggressivo nel supportare l’industria con crediti fiscali alla ricerca. Ciò ci ha concesso di essere più competitivi rispetto ad altri Paesi. Penso che l’Italia dovrebbe seguire questa strada. In Francia la il governo ha aiutato a creare attorno ad Alcatel-Lucent una sorta di solidarietà di tutti i maggiori operatori e delle varie entità pubbliche.

I vostri competitor non saranno stati contenti…

Ma tutto è avvenuto nel pieno rispetto delle regole competitive. Dov’è il problema se abbiamo i prodotti giusti, se sono assolutamente all’altezza o superiori a quelli degli altri vendor?

In un mondo globale le politiche nazionali hanno un peso relativo rispetto al passato.

Ma non sono meno importanti. Comunque, è vero. È soprattutto l’Europa a venire chiamata in causa. È stato scioccante toccare con mano al Mobile World Congress di Barcellona la differenza di politiche tra Europa e Stati Uniti, fra la visione molto aperta verso l’economia digitale degli Usa e quella molto restrittiva dell’Ue. Il rappresentante della FCC è venuto a parlarci della decisione di Barack Obama di chiedere alla Commissione per le Comunicazioni di allocare 500 MHz di spettro per dedicarli ai servizi mobili. Dall’altra parte, abbiamo avuto Nellie Kroes che è venuta a parlare soprattutto di taglio dei costi del roaming.

A Barcellona Kroes ha perorato il singol market.

Quella del singol market è una bellissima idea, ma non può essere il roaming il centro dell’universo. Piuttosto, oggi abbiamo soprattutto bisogno di una legislazione friendly per le imprese, capace di favorire i loro investimenti. Abbiamo bisogno di più investimenti e di realizzare un forte ecosistema digitale che contribuisca alla crescita delle economie europee. I service provider devono poter competere su servizi, applicazioni, qualità e non soprattutto sui prezzi come avviene ora. Prezzi bassi, scarsa qualità, pochi investimenti: è un circolo vizioso da spezzare.

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