Call center, Tripi: “Basta delocalizzazioni, siamo pronti a investire fino a 40 milioni”

L’Ad del gruppo: “Serve l’impegno del governo per garantire parità di condizioni di mercato. Dal trasferimento all’estero del business danni alle tariffe e ai volumi”

Pubblicato il 01 Ago 2014

“Siamo pronti a rilanciare gli investimenti in Italia ma bisogna che tutti i player del mercato rispettino le stesse regole”. Marco Tripi, amministratore delegato del Gruppo Almaviva, racconta al Corriere delle Comunicazioni, le strategie che la società intende mettere in campo in Italia. Strategie rese note anche al governo in occasione del tavolo, tenutosi nei giorni scorsi, alla presenza del ministro per lo Sviluppo economico, Federica Guidi, e del viceministro Claudio De Vincenti.

Tripi cosa chiedete al governo per sostenere il vostro piano industriale?

Non chiediamo leggi ad hoc né per il nostro settore né tantomeno per la nostra azienda. Chiediamo, però, che le leggi già esistenti siano vincolanti per tutti gli operatori. Il nostro piano industriale si basa su tre punti: internazionalizzazione, innovazione e Italia. Il nostro obiettivo di piano è quello di diventare tra le prime cinque aziende al mondo nel Crm, un mercato che vale 60 miliardi di euro, continuando a spingere sui mercati esteri e puntando sulla nostra innovazione tecnologica, lasciando però un pezzo importante del nostro business in Italia.

Dell’Italia cosa avete detto?

Siamo consapevoli che il quadro macroeconomico è difficile, soprattutto per il settore Crm: negli ultimi mesi hanno chiuso diverse aziende lasciando senza lavoro migliaia di persone. Se a questo aggiungiamo la sempre più diffusa pratica delle delocalizzazioni, si evince come la situazione sia sempre più insostenibile per i lavoratori e per quelle aziende che operano nel rispetto delle regole.

A quali regole si riferisce?

A quelle, per quanto riguarda Crm e call center, contenute nel decreto sviluppo bis del 2012 con cui si stabilisce che un utente debba essere avvertito del contatto con un call center straniero e poter scegliere di averne uno italiano. Legge in gran parte disattesa. Credo che le istituzioni preposte, a partire dal Garante Privacy, debbano sovrintenderne il rispetto.

Almaviva è una delle poche aziende italiane a non delocalizzare nonostante le spinte centrifughe legate al contesto economico. Perché questa scelta?

Almaviva non delocalizza per statuto. Sarebbe più facile se decidessimo di concentrarci sulle altre attività del gruppo, delocalizzando anche noi all’estero, ma non lo faremo. Gli effetti delle delocalizzazioni sono brutali: circa il 20 per cento dei volumi di tutto il mercato sono stati trasferiti all’estero e questo crea anche effetti nefasti sulle tariffe. Quelle praticate in Albania, per esempio, sono un quarto di quelle applicate nel nostro Paese e questo sta letteralmente uccidendo il mercato italiano. Una condizione che non permette di reggere la concorrenza a meno di non applicare tariffe che sono ben inferiori al costo del lavoro: in Albania un lavoratore dei call center viene pagato 1,29 euro l’ora. Ma non abbiamo intenzione – fortunatamente le leggi italiane nemmemo lo consentono – di portare i costi del lavoro al di sotto del minimo del contratto delle telecomunicazioni. Le ricadute delle delocalizzazioni dunque sono duplici, sui volumi e sulle tariffe. Ecco perché – voglio ribadire – è necessario che le leggi siano rispettate da tutti.

Come ha reagito il governo?

Abbiamo riscontrato un forte interesse anche a fronte del fatto che Almaviva ha presentato un circostanziato piano industriale ed è pronta ad investire nel solo settore del Crm 40 milioni in quattro anni anche facendo leva sui contratti di sviluppo per il Sud.

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