BANDA LARGA

Internet, negli Usa si sgretola il fronte anti net neutrality

Le telco si smarcano da At&T che di fronte all’ipotesi riclassificazione della banda larga minaccia di bloccare gli investimenti in fibra. Per Verizon, Comcast e Time Warner Cable & Co. nessun disimpegno strategico

Pubblicato il 17 Dic 2014

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Il fronte anti-neutrality dei giganti Tlc statunitensi resta compatto contro la riclassificazione della banda larga a servizio di pubblica utilità ma iniziano ad emergere dei distinguo fra le varie aziende circa la loro reazione all’eventuale regolamentazione della Rete secondo il Titolo II del Communication Act.

Subito dopo la presa di posizione del presidente Usa Obama in favore della net-neutrality, la risposta generalizzata dei grandi attori del mercato è sembrata essere quella immediatamente paventata dal ceo di AT&T Randall Stevenson: la riclassificazione della banda larga porterebbe le aziende a rivedere i propri investimenti a causa dell’incertezza che si determinerebbe sul mercato.

Il primo colosso Tlc a prendere le distanze da questa categorica posizione la settimana scorsa è stato Verizon, per bocca del suo Chief Financial Officer Francis Shammo. Quest’ultimo, durante un incontro con gli analisti di Wall Street, ha negato in modo chiaro ed inequivocabile che l’implementazione della net-neutrality avrebbe influenzato le decisioni di investimento dell’azienda. Il clamore seguito a queste parole ha portato lo stesso Shammo a ribadire comunque la contrarietà di Verizon alla riclassificazione e a sottolineare che l’esperienza in altri paesi mostra che forti regolamentazioni fanno diminuire gli investimenti (http://publicpolicy.verizon.com/blog/entry/the-relationship-between-investment-and-regulation). Ma il messaggio è intanto passato: la net-neutrality non porterebbe necessariamente le aziende a diminuire il proprio impegno strategico. Il presidente della Federal Communications Commission Tom Wheeler è stato lesto a cogliere l’occasione, dichiarandosi “non sorpreso” dalla dichiarazione di Shammo, in quanto è ovvio che un’azienda investa laddove ci sono opportunità di mercato: “Quella di Verizon è una dichiarazione logica”, ha detto Wheeler rispondendo ad una domanda precisa sulle parole di Shammo, “e riflette il fatto che vari analisti di Wall Street hanno già detto che il Titolo II, se implementato correttamente, non è quello spauracchio che si vuol far credere”.

Una conferma a quest’interpretazione arriva dal pronunciamento di altri tre colossi Tlc statunitensi che, pur con enfasi diversa, hanno espresso posizioni non dissimili da Verizon ­– vale a dire Comcast, Chater Communication e Time Warner Cable. Intervenendo ad una conferenza del settore, esponenti del vertice di tutte e tre le aziende – ribadita preliminarmente la loro opposizione alla riclassificazione – hanno ammesso che, se anche fosse implementata, gli investimenti nel settore non dovrebbero considerarsi a rischio. Il più esplicito al riguardo è stato il ceo di Charter, Tom Routledge, che si è spinto a dire che – se attuata con i dovuti correttivi (in primis la forbearance degli aspetti più interventisti del Titolo II) – la riclassificazione sarebbe un esito “accettabile” del dibattito in corso. Giova ricordare che “l’astensione volontaria” dall’applicazione delle norme più rigide su tariffe e prezzi contenute nel Titolo II è condizione auspicata sia da Obama che da gran parte dei sostenitori della net-neutrality.

Il ceo di Time Warner Cable, Robert Marcus, si è trovato sulla stessa lunghezza d’onda del collega di Charter, sottolineando anch’egli come proponenti e oppositori del Titolo II siano d’accordo su una cosa: quale che sia la decisione della Fcc, la componente “prezzo” va esclusa dalla regolamentazione. A chiarire ancor meglio la posizione dell’azienda, è seguita una dichiarazione del portavoce Time Warner Cable in cui si dice che, a prescindere da cosa deciderà la FCC sulla net-neutrality, l’azienda considera il mercato della banda larga “estremamente interessante” nel breve come nel lungo termine.

Leggermente più cauto il Chief Financial Officef di Comcast, Michael Angelakis, che ha premesso che nel caso della riclassificazione “il diavolo sarebbe nei dettagli” e che in questa fase è presto per dire come l’azienda potrebbe reagire. Ma ha poi proseguito dicendo che “noi vogliamo investire nell’infrastruttura e vogliamo essere parte importante di ciò che si sta costruendo” – quasi volesse rassicurare gli astanti sull’impossibilità che Comcast si chiami fuori, qualsiasi cosa accada.

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