Telecom Italia, Sapelli: “Con voto maggiorato forte impatto sulla governance”

Secondo l’economista per decidere se “convertirsi” o no al nuovo sistema, l’azienda di Tlc deve tener conto di tre fattori: modalità di acquisto delle azioni, diritti e doveri dei titolari e impatti sulla governance. “Senza un piano chiaro si rischia una poison pill”

Pubblicato il 08 Gen 2015

Mila Fiordalisi

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“Analizzare con quali modalità si acquistano le azioni. Stabilire con chiarezza quali diritti e doveri sono connessi al possesso dei titoli azionari. E, last but not least, verificare gli impatti sulla governance aziendale”. Sono queste, secondo l’economista Giulio Sapelli, docente di Economia politica e Storia economica all’Università statale di Milano, le tre “variabili” determinanti da tenere in massimo conto nel caso Telecom Italia intendesse “convertirsi” alla nuova normativa sul voto maggiorato (contenuta nel decreto competitività – legge 91 del 24 giugno 2014 – poi convertito nella legge 116 dell’11 agosto) che ha ottenuto il via libera da parte della Consob nell’approvazione delle modifiche al regolamento emittenti a seguito della relativa consultazione pubblica.

Professor Sapelli, la disciplina del voto multiplo è già in vigore da tempo oltreconfine. Ora anche l’Italia ha deciso di farla propria. Quali gli impatti possibili su un’azienda come Telecom?

Difficile stabilire ora quali sarebbero i possibili impatti. Il dibattito è appena iniziato ed è un tema tipico di diritto societario. Di sicuro l’applicazione del voto maggiorato garantisce maggiore stabilità all’azionariato. Ma vero è che non bisogna sottovalutare i “pericoli”.

Ad esempio?

Nel caso l’azionariato Telecom decidesse ad esempio di mettere sul mercato azioni per fare cassa senza modificare troppo il proprio potere all’interno del cda, il problema di fondo diventa quello di capire chi va ad acquisire le azioni sul mercato. Se ad acquistare è un “gigante” allora ben venga per la stabilità dell’azienda, ma se si tratta di uno o più nani ciò potrebbe impattare negativamente sulla governance. È per questo che bisogna capire prima dove si vuole andare a parare. Altrimenti si rischia che ci si trovi a ingoiare una poison pill: questo è proprio il tipico caso in cui il veleno sta nel “particolare” se non si tiene conto di tutta la “catena del valore”

Quali sono le differenze fra l’acquisire azioni “tradizionali” e azioni “maggiorate”?

In linea generale mentre l’azione ordinaria viene tipicamente usata per investimenti speculativi, l’azione maggiorata implica, almeno sulla carta e stando alle esperienze internazionali, una maggiore volontà di investimento da parte dell’acquirente che punta di fatto ad una compartecipazione al comando. Ma bisogna verificare cosa accadrà in Italia. Nel caso di Telecom Italia ad esempio se qualcuno volesse salire sopra il 9% potrebbe farlo spendendo meno di quanto spenderebbe ora perché si ritroverebbe in mano azioni dal valore doppio con una spesa dimezzata.

Le aziende italiane hanno le carte in regole per adottare la disciplina del voto multiplo?

All’estero il voto maggiorato è stato adottato tipicamente da aziende di grandi dimensioni, le multinazionali. In Italia sento di aziende ad azionariato tipicamente familiare che vogliono adottare il nuovo sistema. Qui lo scopo è meramente quello di blindare la proprietà e il comando. Il problema vero nel nostro Paese è che il diritto commerciale poggia ancora su logiche pre- Common Law, quindi con responsabilità in capo all’amministratore. Con il voto maggiorato la responsabilità si sposta su tutti i soci, considerato il maggior potere che acquisiscono. Assisteremo ad assemblee finalmente ricche di presenze piuttosto che a incontri deserti: gli azionisti dei fondi non si presentano pressoché mai in assemblea ma col voto maggiorato sarebbero decisamente più indotti a farlo. Inoltre con il voto maggiorato il terreno del ragionamento si sposta sulla logica dell’impresa giuridica e quindi come entità con responsabilità e compiti ben definiti in quanto impresa.

È vero che il voto maggiorato favorisce gli investimenti esteri e che quini Telecom potrebbe finire più facilmente nel mirino di qualche big mondiale?

Non direi. O, almeno, certamente favorisce gli investimenti in azioni considerato il loro valore “aggiunto”, ma di certo un’impresa non si basa sul mero valore di un’azione per valutare se investire o no. Altrimenti ci troveremmo di fronte a un ritratto caricaturale della situazione in cui il capitalismo altro non è che un insieme di predatori. Le cose non stanno così, sono molto più complesse.

La governance di Telecom sta cambiando e si va verso il modello public company. Crede che ciò imponga una modifica dello statuto? E contestualmente sarebbe auspicabile adottare il voto maggiorato?

Il nuovo statuto non potrà che essere allineato ai migliori standard internazionali della good governance. Dire altro credo è prematuro allo stato attuale delle cose.

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