AUDIOVISIVO

L’industria dei contenuti: “Piano banda larga, il governo ci ha cancellato”

Le associazioni che raggruppano autori e produttori di film e serie Tv lanciano un appello a Palazzo Chigi: “Grave mancanza l’assenza dell’industria dell’audiovisivo dal progetto di Palazzo Chigi: il video è driver della diffusione di Internet”. Serve piano ad hoc per lo switch-over da broadcast a broadband

Pubblicato il 12 Gen 2015

L.M.

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Gli autori e i produttori di film, serie tv e web, documentari, sono doppiamente interessati allo sviluppo della banda ultralarga: da una parte sono di gran lunga i principali generatori della domanda, dall’altra attendono dalla distribuzione online una quota rilevante dei loro ricavi prospettici. Per questo chiedono al governo un piano per il video su broadband.

Il ruolo cruciale della distribuzione dei contenuti audiovisivi come driver di crescita nei consumi di banda è stato evidenziato nell’intervento a firma di tutte le associazioni di autori e produttori (Anica, Apt, Pmi, Doc-It, 100 Autori, Anac) che hanno partecipato alla consultazione pubblica online lanciata dal governo su “Strategia italiana per la banda ultralarga” e “Strategia per la crescita digitale”. La consultazione si è chiusa il 20 dicembre.

I due documenti in consultazione su Internet (che impegnano risorse pubbliche per 10,5 miliardi di euro in 6 anni, più 6 miliardi di risorse private) analizzano diversi settori interessati, ma in 210 pagine – sottolineano i firmatari dell’intervento – non fanno alcun cenno all’offerta audiovisiva. Si tratta, dicono, di una mancanza grave che rischia di vanificare la riuscita del piano.

La produzione audiovisiva, ribadisce il comunicato diffuso da Anica & Co, è il settore maggiormente interessato al successo del piano su due versanti: come principale beneficiario e come principale driver della domanda.

L’andamento dei ricavi dell’industria dei contenuti è sempre più correlato alla penetrazione e alla velocità della rete. Questa correlazione è molto forte; la classifica dei diversi paesi per penetrazione e velocità della banda larga coincide con la classifica per dimensioni della industria dei contenuti in termini di occupazione, capitalizzazione, ricavi. Lo stesso processo produttivo si svolge in misura crescente in remoto (per gli effetti
speciali, colonne sonore, monitoraggio ecc.): ciò rende determinante non solo la classifica della velocità in download (Italia quart’ultima in Europa) ma anche la velocità upload (Italia penultima). Il download è la via per raggiungere il pubblico, l’upload è la via per partecipare a processi produttivi che sono sempre più multipolari. Se l’Italia resterà in fondo alla classifica dell’agenda digitale europea, dicono autori e produttori, inevitabilmente resterà in coda anche per lo sviluppo della sua industria creativa.

La mancanza dell’audiovisivo nei documenti in consultazione è ancor meno spiegabile sul lato della domanda. Proprio il documento “Strategia italiana per la banda ultralarga” indica che “l’estensione della copertura dei servizi a banda larga rende la loro penetrazione strettamente correlata all’effettivo utilizzo di Internet. L’esame del profilo di utilizzo di Internet consente, quindi, di identificare ulteriori aspetti rilevanti per favorire lo sviluppo della banda larga e ultralarga nel nostro Paese”. È sottointeso che nella valutazione del profilo di utilizzo di Internet non si debba esaminare solo chi utilizzi Internet, ma anche come Internet venga utilizzato.

Ebbene, il video è diventato in tutto il mondo il principale utilizzatore della banda, il principale motivo per il quale gli utenti si connettono e chiedono più velocità.

Nella relazione annuale sull’attività svolta e sui programmi di lavoro Agcom 2014 si legge: “Nel complesso, i video si confermano come la tipologia di traffico che occupa le reti in misura preponderante (circa il 70% del totale), seguiti, ad oggi, dal traffico da filesharing (18%). I principali paesi europei presentano previsioni di crescita maggiori nel traffico concernente i contenuti video, il cui aumento è quantificato nella misura del 31% nel prossimo quinquennio, contro il 29% stimato a livello mondiale”. Nei paesi nei quali si stanno affermando offerte su rete IP in abbonamento (quali Netflix, Amazon Prime, Hulu, BTVision, Canal Play, Orange TV) si segnala una forte crescita del traffico in streaming video. L’utilizzo simultaneo di più device e l’avvento del 4K e dell’UHD sono ulteriori fattori che aumenteranno lo spazio occupato dal video sulla rete internet. Tutti gli istituti di ricerca prevedono che entro il 2018 il video occuperà nel mondo tra l’80 e il 90% traffico internet mondiale. La centralità del video per la rete internet è un fenomeno di rilevanza mondiale, ma che può avere in Italia un peso persino maggiore.

Il principale argomento usato dalle imprese di telecomunicazione italiane a giustificazione del ritardo nei loro piani di investimento, sostengono i firmatari del documento, è la carenza di domanda di nuove connessioni e di connessioni più veloci. In effetti l’Italia è tra i paesi europei più anziani e con minor penetrazione di computer. Non ha mai usato internet il 34% degli italiani, il doppio delle medie europee.

Per stimolare la domanda, i documenti in consultazione dedicano largo spazio al driver costituito dalla PA, concentrandosi sulle piattaforme abilitanti. Manca, invece, completamente un piano per il trasferimento del video entertainment da broadcast a broadband, manca cioè lo strumento prioritario per aggredire il problema.

I dati misurati sulle reti di tutto il mondo mostrano invece che nel breve e medio periodo il vero driver della domanda è il video. Pubblica amministrazione, sanità, istruzione on line, non sono il driver, ma il dividendo, ottenuto grazie all’aumento di penetrazione e velocità della domanda di video. Anche per ottenere questo auspicabile dividendo è necessario che i documenti in consultazione siano integrati con un piano prioritario per il trasferimento del video entertainment da broadcast a broadband.

Se analizziamo quel 34% di italiani che non hanno mai usato internet, scopriamo che coincidono con la popolazione che consuma più televisione broadcast, addirittura oltre le 6 ore al giorno. La connessione dei televisori alla rete rende i prossimi anni decisivi. Nei prossimi cinque anni il fenomeno più rilevante per la rete internet e per i telespettatori sarà la connessione dei televisori alla rete, tramite set top box, consolle e soprattutto Smart TV. Il 44% dei televisori venduti quest’anno sono Smart Tv. Nel 2017 saranno il 77%.

È iniziato lo switch over che farà diventare tutti i televisori terminali ibridi, con un ingresso broadcast ed uno broadband. Probabilmente lo switch off non avverrà mai, perché alcuni generi, quali lo sport e altri servizi lineari a largo ascolto che necessitano della diretta, continueranno a lungo a essere fruiti in broadcast; ma lo switch over sarà massiccio per gli altri generi.

A inizio 2014 solo l’8% dei televisori italiani erano connessi alla rete. In questo caso il ritardo può essere velocemente recuperato. Il fenomeno iPlayer in UK o il modello Netflix in America che in soli tre anni ha spostato in broadband un terzo del tempo televisivo di trentacinque milioni di famiglie, dimostrano che il take off può essere rapido. Il problema è l’assenza di un piano e di un coordinamento con il Piano Banda Ultralarga.

Autori e produttori chiedono un Piano nazionale per lo switch over, per accelerarne i tempi, per rendere prevedibili gli investimenti necessari, per costruire le condizioni migliori per l’industria delle infrastrutture e per quella dei contenuti.

Lezioni dall’esperienza recente dello switch off analogico-digitale.
Appena due anni fa l’Italia ha completato con successo la migrazione da analogico a digitale terrestre. II piano ultrabroadband è più importante, ma non più difficile da realizzare dello switch off terrestre. Tra il 2006 e il 2012 tutti gli italiani hanno dovuto cambiare televisore o dotarlo di un set top box esterno. I broadcasters hanno dovuto cambiare tutti gli impianti e le frequenze di trasmissione. Il tutto complicato da una pregressa gestione caotica dello spettro, in assenza persino di un catasto.

L’esperienza dello switch off della televisione terrestre da analogico a digitale è ricca di insegnamenti e di errori da non ripetere. Tra gli errori ricordiamo i soldi pubblici sprecati per sovvenzionare i servizi forniti dalla PA e i decoder interattivi. Di questi servizi e dei decoder interattivi non è rimasto nulla. Nonostante questi e altri errori, nel caso della televisione digitale terrestre l’Italia è riuscita a rispettare le scadenze, a restare nelle medie europee a garantire un servizio universale.

Il Comitato Nazionale Italia Digitale (Cnid) istituito nel 2006 e sciolto nel 2012, presieduto dal Governo, ha coordinato le attività della Rai, dei broadcaster privati, degli altri stakeholder e dell’Agcom. Il principale fattore del successo è stato l’impegno dei broadcaster che hanno massicciamente informato la popolazione sui vantaggi della nuova piattaforma, sulla quale hanno gradualmente offerto contenuti esclusivi. Grazie ai broadcaster, il digitale terrestre era conosciuto da tutti, molto prima dello switch off, e già utilizzato da una maggioranza della popolazione.
Il ruolo dei broadcaster.

Ingaggiare i broadcaster è determinante anche per il successo del piano ultrabroadband. Si tratta, anche in questo caso, di organizzare un massiccio piano di comunicazione sostenuto da un’offerta di contenuti esclusivi. Solo il 15% degli italiani dichiara di essere “abbastanza informato” sulla Smart TV. Quanto ai contenuti fruibili su tv connessa, nella prima fase il driver è la catch up tv. L’offerta di tutti i programmi andati in onda su tutte le televisioni in chiaro nella settimana precedente, è facilmente realizzabile e comunicabile; riproduce in meglio la funzionalità del videorecorder, che era velocemente penetrato nel 70% delle famiglie italiane.

Questa offerta coordinata diventerebbe la porta dalla quale i telespettatori passano dal broadcast al broadband. In rete, accanto alla catch up gratuita, scopriranno una offerta amplissima per dimensione e varietà di film, serie tv, documentari e cartoni, sempre disponibili. Il servizio di “Content discovery” presentato all’ingresso di questa porta rivestirebbe un ruolo chiave nella e promozione dei contenuti nazionali.

La distribuzione su televisori connessi è la forma ideale per la fruizione di film, serie tv, documentari e cartoni. La connessione rapida dei televisori è una concreta occasione per aumentare i ricavi dell’industria dei contenuti. Per i fornitori di contenuti è importante anche che l’accesso sia aperto e che le Guide ai programmi che i telespettatori utilizzeranno assegnino una adeguata prominenza ai prodotti nazionali.

Oggi autori e produttori soffrono il collasso dell’home entertainment, che in Italia si è dimezzato, perdendo 400 milioni in cinque anni. 7 Solo 40 milioni sono stati sinora recuperati con il Video on demand à la carte o in abbonamento. Le esperienze estere dimostrano però che la distribuzione in VOD e SVOD può non solo recuperare il mercato DVD perso, ma largamente superarlo.

Ci sono tutte le condizioni per una fase di espansione del mercato e dell’industria nazionale; ma in assenza di una consapevolezza e di un piano dai parte dei decisori politici ci sono anche tutti i rischi per un drammatico ritardo o una internazionalizzazione passiva. Il problema nel ripetere il successo della transizione al digitale terrestre è che all’epoca i broadcaster vedevano un loro interesse nel valorizzare la loro rete, oggi vivono i televisori ibridi come perdita di esclusività nell’accesso al telespettatore.


Il ruolo fondamentale del Servizio pubblico televisivo
Sintomatico il comportamento della Rai. Pur partecipando a un consorzio con gli altri broadcaster che ha sviluppato le specifiche per una piattaforma di connessione dei televisori e dei STB e ha raggiunto gli accordi con i principali costruttori mondiali, ha poi tirato il freno a mano, in attesa di indicazione del governo. La Rai ritiene che nel breve termine la Connect tv sia contraria all’interesse aziendale e che le decisioni di medio termine competano alla proprietà, cioè al governo. Il governo non ha dato nessuna indicazione. Il comportamento della Rai influisce anche su quello degli altri broadcaster, i quali hanno avviato piccole iniziative proprietarie on demand (Infinity e Sky on demand) con la cautela di non “cannibalizzare” la centralità del broadcast.
Quando arriverà Netflix -Italia ultima tra i paesi europei- troverà un paesaggio ben diverso da quello trovato in Francia, dove per entrare nel mercato ha dovuto investire in produzioni francesi, perché grazie all’IPTV e a un 50% di televisori già connessi esistono già significative offerte nazionali pay; o in Gran Bretagna dove la Bbc ha guidato la migrazione del video su internet con iPlayer e poi la connessione dei televisori con Youview.
La Rai deve essere il perno del Piano per lo switch over da broadcast a broadband. Alcuni atti sono prerogative esclusiva del governo. La nuova Concessione per il Servizio pubblico televisivo (scade a maggio 2016 e il governo ha annunciato l’anticipo al 2015) incarichi la Rai di guidare il processo di connessione dei televisori alla rete realizzando: una campagna massiva per la connessione dei televisori alla rete; un servizio integrato gratuito di catch up; un servizio di “Content discovery” e una piattaforma aperta a tutti i fornitori di contenuti, ma con la migliore esposizione dei contenuti nazionali e delle offerte che rispettano le norme europee a tutela della diversità culturale; un presidio pubblico nella gestione e l’uso dei preziosi Big data generati dai consumatori di video on line.

Governance e obiettivi quantitativi.
Il Governo coordina le attività dei principali stakeholder (tra i quali rientrano Autori e Produttori) e monitora lo stato di avanzamento del Piano per lo Switch over da Broadcast a Broadband, che è parte integrante del Piano nazionale Banda ultralarga.
Il Piano di switch over si prefigge due obiettivi misurabili: spostare 90 degli attuali 250 minuti medi giorno da broadcast a broadband, in 6 anni, generando una domanda aggiuntiva di 15 milioni di Terabyte annui; utilizzare il servizio televisivo, che è onnipresente, per dimezzare le abitazioni non connesse (da 33% a 16% attuale media Nord+Centro Europa) e da 44% a 25% degli individui che non accedono a internet almeno una volta alla settimana e, soprattutto, dal 34% al 15% degli italiani che non hanno mai usato internet.

Utilizzo progressivo della banda UHF da broadcast digitale terrestre a unicast verso apparati mobili. Partire subito per attuare almeno Il piano Lamy
La connessione dei televisori è la chiave di volta dello sviluppo della rete fissa. L’uso delle frequenze è la chiave dello sviluppo della distribuzione dei contenuti su rete mobile. La politica dello spettro comporta purtroppo tempi lunghi e necessariamente coordinati con gli altri paesi europei e a livello ITU. Il braccio di ferro tra broadcaster e operatori mobili sull’uso della banda UHF è comune a tutti i paesi europei. Nonostante i tempi lunghi confermati in tutta Europa dal rapporto Lamy, l’Italia rischia di accumulare ritardi anche nella rete mobile. Vista dal lato dei produttori di contenuti, la questione è rilevante. Il rendimento della distribuzione in streaming unicast è di un ordine di grandezza superiore a quello della diffusione broadcast in Digitale terrestre. Un’ora/spettatore di visione Digitale terrestre genera per l’industria dei contenuti in media 5 centesimi di euro, al lordo della quota trattenuta dai broadcaster. Un’ora di visione in streaming Over the top genera 50 centesimi lordi. La distribuzione in streaming su rete mobile ,inoltre, è complementare e non sostitutiva di quella su rete fissa, dal momento che si affermano modalità di Continuity hand over tra le due reti. La possibilità di iniziare la visione su un device mobile e completarla su televisore (o viceversa) è condizione utile per lo sviluppo del mercato e per la sua redditività. Per i produttori di contenuti è quindi vitale che la banda UHF sia utilizzabile per l’internet mobile nei tempi più rapidi e comunque non più tardi di quanto lo sia negli altri paesi europei. L’obiettivo minimo è il rispetto della tempistica prevista dal rapporto Lamy. Obiettivo che l’Italia rischia di mancare. I ricavi orari sono stimati dividendo i ricavi complessivi di ciascuna piattaforma distributiva per le ore di visione.

Conclusioni
Autori e produttori ritengono di importanza vitale il successo della Strategie esposte nei documenti in consultazione. Per essere efficace il Piano nazionale banda ultralarga va integrato con un Piano di switch over da broadcast a broadband. Autori e produttori sono a disposizione del governo per approfondire, insieme agli altri settori industriali coinvolti, obiettivi, governance e aspetti operativi del Piano integrativo proposto.

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